venerdì 12 maggio 2017

CONCETTO CATTOLICO DEL DIRITTO (II).

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

Da: Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, parte I., principii teorici, Roma 1851 pag. 16-31.
PARTE I.
PRINCIPII TEORICI DEI GOVERNI AMMODERNATI
CAPO I — IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE. (§. I n° 21-40)
21. Abbiam dunque finalmente analizzata interamente l'idea fondamentale del d[i]ritto. Ogni d[i]ritto è una forza morale, che un uomo esercita sull'altro, manifestandogli una qualche verità; questa verità debb'esser pratica, vale a dire debb'esser tale, che spinga ad operare; de[v]e spingere in modo irresistibile chi non voglia negare la ragione: il principio irresistibile dell'operare è la natura, principio di movimento impresso in ciascun essere dalla Virtù creatrice: ordinate sono le azioni quando mirano allo scopo di natura ossia del Creatore di essa: quest'ordine ci conduce naturalmente a felicità: per lo che colui che manifestandomi l'ordine mi rivela un dovere, lungi dal gravarmi ostilmente, mi offre la mia felicità, il mio vero bene.
22. Questa idea fondamentale del d[i]ritto merita altri svolgimenti ed applicazioni: prima per altro vorrei prevenire una difficoltà, che a più d'uno potrebbe dar ombra. «Secondo la vostra dottrina, potrebbesi obbiettarmi, la riverenza al d[i]ritto altro non è finalmente, che il sentimento di religione per cui ci inchiniamo a Dio medesimo: dal che ne consiegue non potersi ammettere se non da chi conosce un Dio ed a Lui s'inchina. E pure non veggiam noi che la riverenza al d[i]ritto sentesi per istinto anche da coloro che non credono, anzi niegano un Dio? Splende nell'ordine per sè un non so che di sublime ed imperioso, che impone agl'intelletti la legge e gli sforza ad arrendersi».
23. Senza assottigliar soverchiamente sul problema dell'ateismo, senza cercare se sia realmente possibile nel senso ordinario di questa orribile dottrina, vi risponderò francamente esser impossibile, esser ripugnante l'ateismo nel suo significato rigorosamente filosofico: onde non è meraviglia che il d[i]ritto imperi e faccia sentire la sua legge anche a chi si sforza, benchè indarno, di negare Iddio. Spieghiamoci. Che vuol dire filosoficamente negare un Dio? Vuol dire negare il supremo Essere, la Causa suprema di tutto l'universo. Questo Essere e Causa suprema noi cattolici lo conosciamo nella sua realtà personificata, ne leggiamo le prime opere nel Genesi, le rivelazioni nei Profeti, l'incarnazione e la morte nè Vangeli; talchè Egli è per noi, lasciatemi spiegare in tal guisa, un personaggio storico. Or la storia con tutta la sua evidenza documentata non produce all'intelletto quella irresistibile necessità di assenso, che vi producono le verità metafisiche o matematiche. Quindi è che ben poss'io comprendere come venga negato da certe teste mal sane e da cuori corrotti il Dio storico de' cattolici: ma troverete mai uomo in senno, che dir vi possa non esservi dell'universo una causa, non nell'universo un Essere supremo? Il Panteista vi dirà un Esser solo, ma questo allora sarà supremo: un Politeista ve ne dirà le migliaia, ma o ci sarà un massimo, o supremo sarà il loro complesso o primeggeranno a vicenda, sempre dovrà esservi la causa di ciò che accade nel mondo, sempre dunque sussiste un avanzo dell'idea di Dio, finchè sussiste nel linguaggio il verbo essere, senza cui perirebbe l'intelligenza. Qual meraviglia che sussistendo questo avanzo dell'idea di Dio sussista parimenti un avanzo di riverenza all'ordine? Voi lo sapete benissimo, gli affetti camminano di conserva colle idee, ed a misura che queste illustran la mente, quelli riscaldano il cuore. Ed appunto per questo anche negli uomini sinceramente cattolici e pii cessa talvolta la chiara apprensione del Dio rivelante senza che cessi per questo l'ossequio religioso del diritto: perchè sebbene men chiara e meno attuale continua pur tuttavia una confusa apprensione del supremo imperante onde ogni legge deriva.
24. Fonte reale d'ogni d[i]ritto è dunque l'esser supremo di Dio, fonte della cognizione di ogni d[i]ritto, la cognizione di Dio medesimo; la quale a misura che procede e negl'individui e nella società, de[v]e procedere e perfezionarsi in entrambi la cognizione e la forza del d[i]ritto. Dal che comprenderete una pratica verità importantissima, che non posso spiegare come merita, ma non ho coraggio di tacere interamente; ed è che essendo nella religione cattolica perfettissima la cognizione, caldo ed operativo l'affetto verso il Creatore, la riverenza al d[i]ritto e l'efficacia del suo impero de[v]e nella società cattolica prendere sopra ogni altra società nobilissimi incrementi: e per l'opposito a misura che in una società vien meno l'idea ed il sentimento cattolico, de[v]e venir meno in quella medesima proporzione la cognizione e la riverenza del d[i]ritto, giacchè viene a menomarsi la cognizione e riverenza di Dio. Il che, se venga confermato da' fatti, uopo non è che io vel dica: basterebbe il riflettere come i due d[i]ritti più connaturati nell'uomo e basi di ogni società, il d[i]ritto di famiglia e quello di proprietà, vengono oggi negati da colui che niega la base stessa d'ogni religione, specialmente cristiana, Dio ed il suo Cristo.
25. Ma se l'idea cattolica è base e perfezione del d[i]ritto, comprenderete la legittimità d'un'altra conseguenza che appena accenno: se l'autorità sociale è natural tutrice d'ogni d[i]ritto; se il progresso di lei de[v]e consistere nel dare a tutt'i d[i]ritti la maggiore sicurezza ed espansione possibile: chiunque riconosce nel Cattolicismo un'idea più compiuta di Dio, de[v]e confessare che l'autorità sociale è obbligata per quanto ella può a promuovere gl'incrementi del Cattolicismo, giacchè da quest'incrementi dipende nella società la cognizione più perfetta de' d[i]ritti e la loro più religiosa osservanza. Ma questo sia detto sol di passaggio, non essendo per ora mio intendimento d'entrare nel campo delle applicazioni, ma esplicare quanto più posso pienamente l'idea.
26. Or l'idea dell'ordine e del d[i]ritto già da me analizzata potrebbe darvi il campo d'una grave obbiezione. «L'ordine dell'universo, potreste voi dirmi, è universale e costante. Se dunque dall'ordine universale nasce l'idea del d[i]ritto, tutti gli uomini aver dovrebbero gli stessi d[i]ritti e tutti immutabili, inalienabili. Frattanto chi non vede l'immensa varietà, il perpetuo avvicendarsi dei d[i]ritti nell'umana convivenza?»
Al che è facile il rispondere: che come l'uomo è composto di ragione e di senso, così il suo d[i]ritto che de[v]e muoverlo, ha due elementi, uno immutabile e necessario, l'altro mutabile e contingente: quando voi mirate il d[i]ritto nell'eterna sua fonte, voi lo ravvisate necessario; quando lo riferite a' suoi termini contingenti, lo ravvisate mutabile. Nè senza il connubio dei due estremi opposti aver potreste il d[i]ritto, quale lo ravvisiamo nella umana società. Voi per cagion d'esempio avete d[i]ritto d'esser obbedito dal vostro figlio, servito dall'artigiano, pagato dal debitore: or ciascuno di codesti d[i]ritti, se ben mirate, sgorga da un'idea di ordine eterna ed immutabile, s'incarna in un fatto mutabile e contingente. Ogni figlio de[v]e dipendere dal padre, ogni lavoro da chi lo paga, ogni imprestito de[v]e tornare al mutuante: ecco tre idee universali di ordine, che sgorgano dalla natura stessa de' soggetti contemplati (padre, figlio, artegiano ecc.) e son sempre ed ovunque verissimi. Ma che il tale sia figlio vostro, che quell'artegiano lavori per voi, che al vostro debitore abbiate imprestato denaro; questi sono fatti puramente accidentali ed ipotetici, che poteano andare tutt'altrimenti. E pure senza questi tre fatti, ben sussisterebbero le tre idee di ordine, perchè necessario ed immutabile, ma i tre vostri diritti di padre, padrone, creditore verrebber meno. Quando dunque si prende a sostenere un d[i]ritto qualunque fra gli uomini, uopo è sempre sorreggerlo sopra due ordini di verità, cioè verità ideali, e verità storiche: sempre, io dico, perchè essendo l'uomo essenzialmente contingente nella personale sua esistenza, questa esistenza e tutte le sue attribuzioni sempre ed essenzialmente debbono dipendere da un fatto che potea non accadere; senza la verità ideale il d[i]ritto non è; senza la verità storica il d[i]ritto non è vostro. Se il figlio non è obbligato ad obbedire, nessun figlio vi sarà obbligato: se questo fanciullo non è vostro figlio, non gli correrà quest'obbligo verso di voi.
27. Vero è che certe verità di fatto sono sì conosciute e lampanti, che niuno si prende la briga di dimostrarle. Così p. e. chi mai si dà briga di dimostrare ch'egli è uomo? Quando abbiate dimostrato che certi d[i]ritti appartengono all'uomo in forza di sua natura specifica, voi applicate senza più a ciascun individuo umano tutt'i d[i]ritti che appartengono alla natura, presupponendo il fatto. Ma quando questo possa rivocarsi in dubbio, sempre ci vogliono le dimostrazioni de' due elementi, se volete piegare la volontà altrui al vostro intento: della verità d'idea che gli manifesti l'ordine, della verità di fatto, che lo incarni nel reale. Quando avete il concetto chiaro di queste due verità, e lo manifestate altrui evidentemente; questi, se ha forza a ravvisar la ragione trovasi necessitato a cedere, o come sogliam dire, sentesi obbligato dal vostro d[i]ritto.
28. Dal che inferirete un'altra osservazione di qualche rilievo, ed è che obbligazione e d[i]ritto presuppongono ne' lor soggetti l'intelligenza ossia la ragione; e chi non ha, o non usa la ragione, non ha, o non usa d[i]ritto ed obbligazioni. E ci voleva un grande sforzo di fantasia poetica o d'ignoranza che, se la cortesia lo permettesse, dovrei dire bestiale, per attribuire d[i]ritto alle bestie, e formar società filantropiche per patrocinarli e rivendicarli. Se è male abusare barbaramente delle bestie, ciò nasce non da' d[i]ritti loro, ma dal bisogno nostro, o dal d[i]ritto de' nostri simili. Ma questo sia detto solo per incidenza: continuiamo a svolgere le conseguenze dell'idea fondamentale di d[i]ritto da noi stabilita, dando un cenno sulla graduazione de' d[i]ritti, ossia su i vari gradi di gagliardìa, che in essi naturalmente noi ravvisiamo.
29. Ogni d[i]ritto, abbiam noi detto, acquista l'imperativa sua forza dalla volontà del Creatore. Or come va, che questa volontà sempre onnipotente e secondo ragione irresistibile, pure vien da noi misurata a certi ragguagli, secondo i quali diciamo un d[i]ritto più forte, un altro più debole, ed il primo preferiamo al secondo? È facile il vedere, che la suprema Volontà ordinatrice non influisce con egual forza negli ordini parziali, e nell'ordine universale al quale essi concorrono. Volle certamente il Creatore quest'ordine di forze materiali e fisiche e chimiche e vegetative; volle quell'ordine di stagioni, quell'alternar di temperature, quelle vicende igrometriche per cui sorgono rigogliose le messi e le piante fruttifere; ma perchè? perchè ne avessero poi alimento gli animali e specialmente l'uomo. Verrà dunque subordinato l'incremento delle messi e delle piante al bene dell'uomo e degli animali. Nell'uomo stesso il Creatore volle un corpo, e pel corpo gli alimenti ed i ripari; ma tutto ciò è subordinato a quella intelligenza, che sola compie il gran debito di glorificare il suo Creatore. Subordinate dunque al ben dell'intelletto saran quelle leggi, che comandano il sostentamento del corpo, nè il debito o il d[i]ritto, che può risultare dall'ordinamento inferiore sarà eguale in forza a' doveri e d[i]ritti risultanti dall'ordine superiore. Perlochè se due d[i]ritti di ordine diverso vengano fra loro ad urtarsi, voi già vedete con quali principii potrete determinare qual debba cedere, qual prevalere; anzi potreste anticipatamente ridurre a certe formole universali la graduazione de' doveri o de' d[i]ritti (ed è questo appunto di che si occupa la scienza morale) dicendo p. e. il d[i]ritto agli averi de[v]e cedere al d[i]ritto di esistere, giacchè gli alimenti sono per vivere non la vita per mangiare: il d[i]ritto della vita de[v]e cedere alla onestà, giacchè è bene il vivere, perchè si può vivere onestamente, non già bene l'onestà perchè prolunga la vita. Col principio medesimo potrebbero considerarsi le relazioni dell'individuo alla società, d'una società inferiore ad una superiore, della convenzionale alla naturale, deducendone il rispettivo valore de d[i]ritti; il che è di somma importanza in tutte le scienze naturali, come chiariremo a suo tempo con gli esempi delle varie applicazioni: per ora non è mestieri entrare in questa specialità, bastando le universalità già spiegate a dar la vera idea del d[i]ritto naturale, della sua genesi obbiettiva, della sua forza obbligatrice, de' gradi ineguali con cui l'esercita: idea che abbiam promesso di paragonare colla causa assegnatale dagli Unitarii novelli [cioè dagli artefici della cosiddetta unità d'Italia N.d.R.], da' promotori del razionalismo protestante.
30. Permettetemi per altro, che prima di passare a codesta nuova serie d'idee, io mi fermi a chiarirvi quell'epiteto naturale, che abbiamo aggiunto poc'anzi al vocabolo d[i]ritto. Si è tanto abusato di codesta voce naturale, che a poco a poco anche persone più che mediocremente istruite ne hanno smarrito il vero significato, immaginandosi, che naturale debba dirsi all'uomo quello soltanto che porta seco nascendo, o quello a che vien trasportato da una qualunque spontaneità d'istinto: per lo che ad indagare le leggi di natura non trovano migliore oracolo da consultare che la natia lor propensione, e se la collera gli istiga a vendetta, vi dicono francamente che il vendicarsi è ispirazione di natura; se la voluttà a lascivia, d[i]ritto di natura è il libertinaggio. Staremmo freschi se natura parlasse per organi sì frenetici! Così parve pensarla il Bentham, quando prese ad inveire contro ogni legge naturale: mirava egli forse alla vicina scuola Scozzese che sembrò riporre tutto il valore della legge naturale in quelle propensioni istintive, che ella decorò col nome di senso morale, e che ben possono talvolta servirci d'indizi a ritrovar la legge di natura ragionando sopra codesti movimenti istintivi, ma non basteranno mai da sè sole ad imporre un irrefragabil vincolo di obbligazione ad uom ragionevole. Se il padre sente la tenerezza pe' figli, è egli obbligato ad educarli per questa tenerezza? Se la tenerezza bastasse ad obbligarlo, se sempre rappresentasse una legge di natura, ogni affetto, ogni tenerezza, benchè illegittima, vanterebbe lo stesso valore, produrrebbe la stessa obbligazione. Legge naturale non è dunque la propensione spontanea, ma il dover che risulta dalla natural convenienza di certe azioni per conseguire un determinato intento di natura. Le propensioni vi spingono, le passioni vi elettrizzano; ma la legge propriamente detta, allora soltanto incomincia ad obbligarvi, quando la ragione riconosce la convenienza d'un'azione coll'ordine del Creatore.
31. Un altro abbaglio si prende da molti, che chiamano legge naturale quella soltanto che un individuo umano ritrovar potrebbe nella propria coscienza abbandonata da ogni conforto di autorità, da ogni consorzio di società, da indirizzo di magistero: opinione che fu comunissima tra i filosofi miscredenti del secolo scorso, assenzienti alcuni cattolici, i quali ultimi per convincere i primi con isperanza di miglior riuscimento, parvero talora ammettere con essi dover ciascuno individuo andar fornito di tali forze intellettive, da trovare tutto da sè il Codice morale della umana natura. Il che è tanto falso, che anzi un tal possesso di verità naturale è evidentemente assurdo. Volete vederlo? Voi sapete che le conseguenze di una proposizione universale non hanno mai termine, essendo sempre possibile di soggiungere all'ultima proposizione della serie un'altra proposizione (una sussunta direbbero i logici) per mezzo di cui si tragga nuova conseguenza. Questo ch'è possibile in ogni altra scienza, possibile è pure nella scienza morale, e per conseguenza la natural scienza morale si può estendere indefinitamente. Se dunque ogni uomo dovesse colle sole sue forze intellettive conoscere tutta la legge naturale, dovrebbe o possedere attualmente tutta la infinita serie di proposizioni possibili a dedursi da' principii di natura, o avere almeno tal robustezza di logica da tesserne tutta la immensa catena senza traviarne giammai. Or qual è quel Socrate, quel Platone, quell'Aristotele che tanto osasse arrogarsi?
32. Non prendiamo dunque il vocabolo naturale applicato all'intelletto ed alla volontà in quel senso medesimo onde viene applicato alle funzioni vitali: qui sì noi diciamo, benchè metaforicamente, legge naturale quella per cui l'organismo opera spontaneamente, come sarebbe la circolazione del sangue, la chilificazione, il moto peristaltico, operazioni che ciascun uomo compie da sè stesso senza aiuto della società, senza documenti di maestro. Ma quando trattasi di cognizione e di sentimenti morali ingeneranti obbligazione, la spontaneità non basta, come non basta in generale a indirizzare gli andamenti dell'uom ragionevole, benchè talora possa iniziarli in qualche modo incitandolo ad usar la sua ragione.
33. Ma dunque perchè si è voluto chiamare legge naturale questa di cui abbiamo parlato, mentre l'uomo naturalmente non è necessitato, non indotto, non sicuro di giungere a conoscerla? Per molti motivi; in primo luogo perchè può dimostrarsi ragionando sulla natura delle cose, per modo che conosciuta dal magistero di chicchessia una legge, sempre potete osservare nell'ordine di natura certe relazioni di fatto, che rendono convenevole l'operare in quel modo determinato, e disconvenevole il modo contrario. Così p. e. quando udiste intimarvi da fanciullo il dovere di temperanza, obbediste a' parenti per naturale istinto: ma se ne aveste indagato il perchè, ben avrebbe potuto rispondervi il vostro padre tal essere il voler del Creatore, manifestatoci dalla natura del corpo umano, il quale, se sopraccaricate il ventricolo, soffre o rende inetto l'uomo alle funzioni mentali: natural dovere esser dunque la temperanza. Ben vedete come la natura obbiettiva delle cose dimostra questa legge, anche prescindendo dalla cognizione che può averne l'individuo o per insegnamento altrui, o per propria osservazione: conosciate o non conosciate che il cibo soverchio nuoce al corpo, ed allo spirito, questo fatto non è men vero, nè men certa in sè la legge di temperanza che ne risulta.
34. Quindi vedete che può dirsi naturale questa legge di temperanza anche in un altro senso, in quanto cioè la ragione umana può arrivarvi quando rettamente discorra senza fallir giammai: il che sebbene all'individuo non sia naturale (potendo ogni individuo aberrare in certe deduzioni) pure è naturale alla ragione umana astrattamente considerata, giacchè la ragione per sè non erra, benchè erri talvolta l'uomo servendosi della particolare sua ragione. L'uomo secondo sua natura specifica discorre rettamente, benchè ogni individuo talor dica qualche sproposito; in quella guisa appunto che l'uomo ha naturalmente due occhi e due mani, benchè certuni nascano orbi o monchi.
35. Ecco dunque due ragioni per cui diciamo naturale il d[i]ritto, sebbene ogni uomo non nasca col suo codice alla mano: 1.° perchè il d[i]ritto naturale ordina azioni convenevoli secondo le naturali relazioni delle creature. 2.° Perchè questa convenienza è accessibile alla specifica ragione umana colle forze naturali, benchè gl'individui non sieno sì fermi nel ragionare da non prendervi errore mai. Evvi però una terza ragione, che rintuzza anche più direttamente l'arroganza di coloro, che niuna legge vorrebbero ammettere come naturale, se non la discuoprano da sè medesimi, e rifiutano il titolo di naturale a quelle leggi, che l'uom non conosce colle sole forze natie del suo intelletto isolato ed indipendente; ed è che questo isolamento, questa indipendenza è tutt'altro che la natura dell'uomo. Or qual cosa più strana che chiamar naturale ciò che non è conforme alla natura? Fu codesto il sogno o romanzo dell'Emilio Ginevrino [con l'Emilio, Rousseau propugnò un naturalismo ottimista nell'educazione N.d.R.] che nulla comprese nell'ammirabile propagazione delle intelligenze per via degl'influssi paterni [1]; ma non fu mai la natura dell'uomo: natura dell'uomo è il nascere nella società, ricever da lei i primi lampi delle verità intelligibili col linguaggio, da lei il dirozzamento delle facoltà ancor grezze coll'educazione, da lei il retaggio dell'antica sapienza colla tradizione, da lei cento mezzi materiali in cui s'incorpora l'idea, e si moltiplicano le forze dell'ingegno: nelle dovizie di questo retaggio sociale, in questa specie di paradiso terrestre piantato per mano dell'Artefice supremo viene introdotto ogni uom che nasce, affinchè operandovi lo conservi, abbellisca e dilati. Questa sì è natura dell'uomo, chiamato ad operare non solo colle individuali, ma anche colle forze sociali.
36. Nell'atto però che io vi dimostro non poter ciascun uomo conoscere il natural diritto colle sole forze dell'isolato individuo, non intendo asserire come taluni oggidì, travianti nell'eccesso opposto a' sofisti del secolo scorso, ogni cognizione morale essere in noi totalmente ed unicamente dono della sociale tradizione o della religione rivelata: altro è dire che senza questi conforti le nostre cognizioni non maturerebbero se non tarde, monche e vacillanti, e per conseguenza di niuna o pochissima utilità; altro il privar totalmente l'intelletto umano d'ogni intuizione di verità e di principii. Se niuno interno obbietto mi si presentasse alla mente quando io discorro sotto l'indirizzo di un maestro, me gli arrenderei ugualmente docile e nel vero e nel falso, e tanto mi parrebbe ragionevole il suo dogmatismo, allorchè egli m'insegna esser virtù la giustizia, quanto se m'insegnasse esser virtù l'egoismo; tanto ravviserei vero che due parallele mai non s'incontrano, quanto che prolungate s'incrocieranno; ed all'opposto tanto sarebbe per me misterioso il detto che 3+3=6, quanto l'Unità e Trinità divina: se tutto vien dalla parola, se nulla io ravviso nel mio intelletto, non vi è più ragione interna per cui una proposizione mi sembri vera ed evidente, un'altra oscura e falsa, e così potremmo esser condotti anche a gravi errori contro la fede da uno slancio di zelo mal cauto con cui vorremmo difenderla.
37. Dal che concludo, che nella mente umana, oltre l'innata propensione ad abbracciare il vero col suo assentimento, evvi un'interna intuizione di certe verità prime, che per mezzo della intellettiva sua operazione ella ricava naturalmente dalle percezioni sensibili degli obbietti materiali: verità che non posson dirsi nè totalmente innate, nè positivamente insegnate, essendo un risultamento della naturale operazione dell'intelletto all'aspetto del mondo sensibile. Così quando il fanciullo vede dividersi dalla madre un pomo di cui riceve sol la metà, formasi, benchè non vi rifletta, l'idea universale che la parte è minore del tutto, e ne fa tesoro: e lo stesso dite d'altri simili principii universali. Paragonando poi con codeste verità le altre sue cognizioni, la mente le ravvisa o vere o false, ed abbraccia le prime, e rifiuta le seconde per una certa sua propensione natia: non però mai con sì infallibil certezza, che possa dire esser ripugnante, che ella ne' suoi giudizii s'inganni. Questi giudizii ove ella ravvisa la connessione evidente de' due termini ch'ella congiunge, quando mirano al pratico, costituiscono la legge naturale; legge che colle forze della specie umana può conoscersi per la natural convenienza di certe azioni, ma che da ciascun individuo può per la infermità del giudizio o ignorarsi o alterarsi, almeno nelle deduzioni secondarie.
38. Ed ecco perchè riesce sì vantaggioso, anzi al genere umano sì necessario, che le leggi di natura ci sieno manifestate per via ancora di autorità, come furono ne' primordii del genere umano a' nostri progenitori, e nel progresso ad ogni bambolo che schiuse gli occhi alla luce del giorno, e la mente a' raggi del vero. Come guiderebbe l'uomo le sue operazioni in tutto quel lungo periodo, che sarebbe richiesto a studiare con rigoroso raziocinio la convenienza o disconvenienza delle operazioni, se non trovasse, nascendo, già promulgata dal Creatore e serbata dalla società, una norma sicura degli umani andamenti? Il Cartesio, quando con un salto mortale si gittò o credè gittarsi in quel nulla intellettuale donde il suo fiat dovea poi trarre l'intelligenza umana e tutto il mondo redivivo, ebbe l'avvedimento di serbarsi una morale ed una religione provvisoria; e potea farlo avendone ricevuto il tesoro da quella tradizione appunto, cui come ingannevole ed insufficiente vituperava ed abiurava. Ma il fanciullo con quali norme si guiderebbe provvisoriamente, con quali norme sarebbesi guidato l'uom primitivo su i primordii del mondo nell'atto di studiare a proprie spese e pericolo per lunghi anni le leggi del fisico e morale universo [2]? E quando finalmente vi fosser giunti in età già canuta
Candidior postquam tondenti barba cadebat
[Virgilio, Bucoliche, Egloga I N.d.R.] oserebbero eglino [= essi, N.d.R.] pronunziare arditamente di non aver segnato orma in fallo nella sterminata carriera? E se una sola conseguenza erronea si fosse intromessa nel filo de' loro raziocinii, non basterebbe questa ad un buon logico, che risalisse sillogizzando a' primi principii? non basterebbe, io dico, a mettere in forse i principii medesimi, malgrado l'evidenza delle prime intuizioni?
39. Ripetiamlo pur dunque: le leggi naturali hanno bensì un principio di naturale evidenza, per cui l'uomo che rettamente ragiona, ravvisa la loro giustizia ed utilità; e sotto questo aspetto sono naturali all'uomo: ma non per questo ogni uomo è capace di sempre ragionare rettamente, e così ritrovarle da sè in tutta la pienezza e verità. Ed appunto per questo esse sono ancor più naturali all'uomo, la cui natura è di formare un sol tutto colla società e coll'uman genere, dal quale l'individualismo protestante vorrebbe dividerlo violentemente; se questo nodo che congiunge tutti gl'individui umani forma parte della natura dell'uomo, più naturali per l'uomo son dunque le cognizioni solidarie, che non sarebbero le solitarie; giacchè naturale a ciascun agente è l'operare a proporzione dell'essere: un essere intelligente opera intellettivamente, un materiale materialmente. Dunque un essere solidario allora opera secondo sua natura, quando opera solidariamente.
Voi dunque che pretendete non esser naturale all'uomo la cognizione se non sia frutto unicamente delle sue forze individuali, professatelo pure arditamente, voi riguardate l'uomo come un essere isolato nell'universo divelto interamente da tutto il rimanente degli uomini: se egli fosse per voi naturalmente sociale, sociale ne dovrebbe essere anche la natural cognizione.
Col fin qui detto volli porre in chiaro il genuino significato del vocabolo naturale, che sogliamo congiungere al d[i]ritto, all'obbligazione, alla legge ecc.: contemplando la natura di tutti gli esseri mondiali relativamente all'operar umano, noi sogliamo inferirne, che certe azioni sono per noi obbligatorie, altre lecite, altre vietate naturalmente, in forza cioè della natura dell'uomo e delle cose: questa obbligazione, questa permissione, questa proibizione dedotte dalla natura costituiscono la legge naturale, perchè derivano da quell'ordine che il Creatore ha costituito nella natura dell'universo, ed esprimono per conseguenza la volontà irrepugnabile del Creatore medesimo.
Questa volontà conosciuta obbliga ogni individuo; ma se venga ignorata, l'obbligazione, benchè per sè sussista, non giunge per altro a far sentire l'irrepugnabile sua forza all'individuo che la ignora.
40. Ecco dunque in ultima analisi la verità fondamentale, sulla quale de[v]e necessariamente riposare l'idea dell'ordine e del d[i]ritto, affinchè possa congiungere fra di loro gl'individui umani. Se essi riconoscono concordemente un sol Creatore manifestante a tutti la medesima volontà potranno esser congiunti dall'idea del d[i]ritto: ma se gli uni credono ordine ciò che gli altri disordine, la lor congiunzione sarà tanto impossibile quanto la congiunzione di due idee contraddittorie.
Se dunque il razionalismo de[v]e congiungere in unica società non solo tutta l'Italia, ma tutto il genere umano, è mestieri ch'egli formi in tutti la medesima idea del Creatore e dell'intento col quale ordinò l'universo. Sarà egli capace di tanto?
Per rispondere a questo quesito è or mestieri esaminare attentamente che cosa sia codesto razionalismo, e qual forza aver possa a rannodare in unica idea tutte le intelligenze.
[CONTINUA]

NOTE:

[1] Questo verrà meglio spiegato nelle Teorie sull'insegnamento.
[2] L'Opinione (15 Giugno 1850 N.° 162 Appendice) riconosce l'insufficienza della ragione ne' principii del genere umano, allorchè «latente come fuoco nella selce, perchè senza sperienza, era incapace di distinguere le sostanze alimentari, le mortifere, le medicamentose, e scansare un mondo di pericoli.» Ma invece di ricorrere ad una primitiva istruzione datale dal Creatore, e tramandata poi da una generazione all'altra per mezzo della tradizione sociale, preferisce l'ipotesi di un sesto senso, la chiaroveggenza magnetica, col quale l'Opinione spera potersi trarre d'impaccio. «Imperocchè di buon'ora e probabilmente fin dal primo uscire dalle mani del Creatore... non pregiudicato da sistemi e da educazione... l'uomo sentì inerente in sè una particolar facoltà, che chiameremo senso intimo, chiaroveggenza o simili atta a servirgli di bussola, e ad essere per Lui ciò che per gli altri animali l'istinto. Possessore di questa facoltà è naturale che tal volta vi ricorresse... non dovette tardar guari a sperimentare il suo intimo direttorio, affine di ripristinare la sanità, e trasceglier l'erbe ecc. ... e di qui probabilmente ebbe origine la cognizione de' semplici, delle acque, de' minerali, di molti fenomeni ecc.»
Non è mio intendimento rifiutare o screditare ciò che vi ha di fisicamente vero nelle dottrine magnetiche, intorno alle quali la voce autorevole della Chiesa, guida sicura de' sapienti Cristiani, nell'atto del condannare alcune applicazioni o disoneste o pericolose, nulla pronunziò finora in pregiudizio delle teorie. Senza deridere col linguaggio altiero degli spiriti forti i sospetti delle anime timorate, e senza ricorrere a' luoghi comuni della inquisizione, de' pregiudizii, delle incantazioni diaboliche, delle superstizioni, dell'invenzione di ossessi e scongiuri, crediamo che si possa sospendere il giudizio intorno a' fatti magnetici, studiarli, riconoscerli, e dopo le legittime prove accettarli.
Ma pretendere d'attribuire la chiaroveggenza per guida all'uomo extrasociale, trasformandola in un sesto senso, questo mi sembra (checchè ne dica l'articolista) non sol risibile, ma anche contraddittorio. Contraddittorio all'esperienza, la quale ci dice, che la chiaroveggenza magnetica vigoreggia solo in chi dorme, e se ne perde al destarsi per fin la memoria: or l'uomo unico della sua specie (come dice l'Opinione) e non sottoposto all'azione d'altri esseri uguali a lui, da chi sarebbe stato magnetizzato, e a chi avrebbe parlato dormendo, onde risapere, allo svegliarsi, gli oracoli da sè pronunziati nel sonno magnetico circa l'infermità sua e le medicine opportune?
Contraddittorio psicologicamente, non potendosi comprendere come tutto il genere umano abbia potuto perdere perfino la memoria non che l'uso di un senso, e senso così utile, che dall'autore vien detto il più maraviglioso forse de' doni di Dio. Certamente se qualcuno osasse stampare che al fine di questo secolo tutto il genere umano, meno alcuni pochi segretissimi ed incerti adepti, che forse se ne ricorderanno, avrà dimenticato d'odorar col naso, o di ricorrere al cibo per acquetare gli stimoli della fame, chi potesse trattenere il riso, griderebbe all'assurdo.
Contraddittorio alle leggi di buona critica, la quale non può approvare che per dimostrazione di asserzioni così gratuite si ricorra a libri sacerdotali dei Caldei e degli Egizi, se fosse possibile farli risorgere; all'arcana sapienza delle iniziazioni severamente nascosta ne' misteri dalla cupa gelosia degli adepti, e ad una chi sa qual luce, che quindi sarebbe forse recata. Pretendere di combattere le indubitate ed universali tradizioni storiche intorno a potenze soprannaturali, ad ossessi, a scongiuri, alcuni de' quali sono riconosciuti come autentici da trecento milioni d'uomini i più inciviliti del mondo, anzi autori della moderna civiltà (nulla dico dell'autorità della Chiesa Cattolica): pretender, dico, di combattere codesta storia co' libri possibili, coi misteri nascosti, e con la luce chi sa quale, ella è critica tanto più stravagante, quanto che l'A. pretende appoggiarsi alla natura, ai fatti, all'osservazione. Che se certi ossessi e fatti soprannaturali poterono inventarsi, altri ve n'ebbero di veraci che servirono di modello agl'inventori, giacchè mai nulla s'inventa dall'uomo, senza un tipo di realtà originale a cui conformarsi.
Se non avessimo un fatto quotidiano, patente, naturale, per ispiegare la propagazione di quelle verità, cui la ragione vergine d'ogni impressione e senza esperienza non potrebbe conoscere; se non vedessimo ogni fanciullo presso tutti i popoli, in tutte le età, in tutt'i climi illuminato dalle tradizioni primitive fin dal primo uscire dalle mani del Creatore, circondato da una società non artefatta, atta a servirgli di bussola e ad essere per lui meglio che per gli altri animali l'istinto; compatirei, che si ricorresse col sesto senso alle ipotesi, a' misteri nascosti, a' libri possibili. Ma vedendo ciò che accade a tutti gl'individui umani, meno quella coppia uscita (lo riconosce l'A.) dalle mani del Creatore, ci sembra assai più naturale il dire col sacro testo, che il Creatore medesimo manifestasse da sè a questa prima coppia le verità di prima necessità, tramandate poi di famiglia in famiglia, anzi che credere alle rivelazioni d'un sonnambulismo magnetico che constituisse un sesto senso ad uso dell'uom unico, il quale per altro non avrebbe potuto usarne senza deviare dalle leggi a cui oggidì va soggetto il sonnambulismo redivivo. Se qualcheduno per ispiegarmi i progressi delle scienze moderne mi raccontasse ch'esse nacquero nel paese de' Samoiedi o presso i Calmucchi, da un cert'uomo cieco a cui fu donata una enciclopedia, donde egli trasse tutte le nostre dottrine, io gli risponderei, che siccome i ciechi oggidì non possono leggere la stampa ordinaria, così senza miracolo non potrei credere, che i ciechi leggessero nel medio Evo: e per[ci]ò al Calmucco preferirei il Guttemberg ed all'enciclopedia donata al cieco le pergamene conservate da' monaci. Nello stesso modo per ispiegare le cognizioni di medicina e di fisica tramandateci dall'uomo unico, preferirò il metodo de' magni maestri fondato sopra un fatto, che tutti veggono, famiglia e società, alle possibilità futuribili d'una chiaroveggenza, utile, secondo le leggi che oggidì naturalmente la guidano, a tutti fuorchè all'uomo unico; il quale dato anche che avesse potuto vedere dormendo senza aiuto d'un magnetizzatore tutto avrebbe poi dimenticato allo svegliarsi.

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