CONCETTO CATTOLICO DEL DIRITTO (II).
R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.
Da: Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, parte I., principii teorici, Roma 1851 pag. 16-31.
PARTE I.
PRINCIPII TEORICI DEI GOVERNI AMMODERNATI
CAPO I — IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE. (§. I n° 21-40)
21. Abbiam dunque finalmente analizzata interamente l'idea
fondamentale del d[i]ritto.
Ogni d[i]ritto è una forza
morale, che un uomo esercita sull'altro, manifestandogli una
qualche verità; questa
verità debb'esser pratica,
vale a dire debb'esser tale, che spinga ad operare; de[v]e
spingere in modo irresistibile
chi non voglia negare la ragione: il principio irresistibile
dell'operare è la natura,
principio di movimento impresso in ciascun essere dalla Virtù
creatrice: ordinate sono le azioni quando mirano allo
scopo di natura ossia del
Creatore di essa: quest'ordine ci conduce naturalmente a felicità: per lo che colui
che manifestandomi l'ordine mi rivela un dovere, lungi dal gravarmi
ostilmente, mi offre la mia felicità, il mio vero bene.
22. Questa idea fondamentale del d[i]ritto merita
altri svolgimenti ed applicazioni: prima per altro vorrei prevenire
una difficoltà, che a più d'uno potrebbe dar ombra.
«Secondo la vostra dottrina, potrebbesi obbiettarmi, la riverenza
al d[i]ritto altro non è finalmente, che il
sentimento di religione per cui ci inchiniamo a Dio medesimo: dal che
ne consiegue non potersi ammettere se non da chi conosce un Dio ed a
Lui s'inchina. E pure non veggiam noi che la riverenza al d[i]ritto
sentesi per istinto anche da coloro che non credono, anzi niegano un
Dio? Splende nell'ordine per sè un non so che di sublime ed
imperioso, che impone agl'intelletti la legge e gli sforza ad
arrendersi».
23. Senza assottigliar soverchiamente sul problema dell'ateismo,
senza cercare se sia realmente possibile nel senso ordinario di questa
orribile dottrina, vi risponderò francamente esser impossibile,
esser ripugnante l'ateismo nel suo significato rigorosamente
filosofico: onde non è meraviglia che il d[i]ritto
imperi e faccia sentire la sua legge anche a chi si sforza,
benchè indarno, di negare Iddio. Spieghiamoci. Che vuol dire
filosoficamente negare un Dio? Vuol dire negare il supremo Essere, la
Causa suprema di tutto l'universo. Questo Essere e Causa suprema noi
cattolici lo conosciamo nella sua realtà personificata, ne
leggiamo le prime opere nel Genesi, le rivelazioni nei Profeti,
l'incarnazione e la morte nè Vangeli; talchè Egli è per
noi, lasciatemi spiegare in tal guisa, un personaggio storico. Or la
storia con tutta la sua evidenza documentata non produce
all'intelletto quella irresistibile necessità di assenso, che vi
producono le verità metafisiche o matematiche. Quindi è che
ben poss'io comprendere come venga negato da certe teste mal sane e da
cuori corrotti il Dio storico de' cattolici: ma troverete mai uomo in
senno, che dir vi possa non esservi dell'universo una causa, non
nell'universo un Essere supremo? Il Panteista vi dirà un Esser
solo, ma questo allora sarà supremo: un Politeista ve ne
dirà le migliaia, ma o ci sarà un massimo, o supremo
sarà il loro complesso o primeggeranno a vicenda, sempre
dovrà esservi la causa di ciò che accade nel mondo, sempre
dunque sussiste un avanzo dell'idea di Dio, finchè sussiste nel
linguaggio il verbo essere,
senza cui perirebbe l'intelligenza. Qual meraviglia che sussistendo
questo avanzo dell'idea di Dio sussista parimenti un avanzo di
riverenza all'ordine? Voi lo sapete benissimo, gli affetti camminano
di conserva colle idee, ed a misura che queste illustran la mente,
quelli riscaldano il cuore. Ed appunto per questo anche negli uomini
sinceramente cattolici e pii cessa talvolta la chiara apprensione del
Dio rivelante senza che cessi per questo l'ossequio religioso del
diritto: perchè sebbene men chiara e meno attuale continua pur
tuttavia una confusa apprensione del supremo imperante onde ogni legge
deriva.
24. Fonte reale d'ogni d[i]ritto è dunque l'esser supremo di Dio, fonte
della cognizione di ogni d[i]ritto,
la cognizione di Dio
medesimo; la quale a misura che procede e negl'individui e nella
società, de[v]e procedere e perfezionarsi in
entrambi la cognizione e la forza del d[i]ritto. Dal
che comprenderete una pratica verità importantissima, che non
posso spiegare come merita, ma non ho coraggio di tacere interamente;
ed è che essendo nella religione cattolica perfettissima la
cognizione, caldo ed operativo l'affetto verso il Creatore, la
riverenza al d[i]ritto e l'efficacia del suo impero de[v]e
nella società cattolica prendere sopra ogni altra società
nobilissimi incrementi: e per l'opposito a misura che in una
società vien meno l'idea ed il sentimento cattolico, de[v]e
venir meno in quella medesima proporzione la cognizione e la riverenza
del d[i]ritto, giacchè viene a menomarsi la
cognizione e riverenza di Dio. Il che, se venga confermato da' fatti,
uopo non è che io vel dica: basterebbe il riflettere come i due d[i]ritti
più connaturati nell'uomo e basi di ogni società, il d[i]ritto
di famiglia e quello di proprietà, vengono oggi negati da colui
che niega la base stessa d'ogni religione, specialmente cristiana, Dio
ed il suo Cristo.
25. Ma se l'idea cattolica è base e perfezione del d[i]ritto,
comprenderete la legittimità d'un'altra conseguenza che appena
accenno: se l'autorità sociale è natural tutrice d'ogni d[i]ritto;
se il progresso di lei de[v]e consistere nel dare a
tutt'i d[i]ritti la maggiore sicurezza ed espansione
possibile: chiunque riconosce nel Cattolicismo un'idea più
compiuta di Dio, de[v]e confessare che l'autorità
sociale è obbligata per quanto ella può a promuovere
gl'incrementi del Cattolicismo, giacchè da quest'incrementi
dipende nella società la cognizione più perfetta de' d[i]ritti
e la loro più religiosa osservanza. Ma questo sia detto sol di
passaggio, non essendo per ora mio intendimento d'entrare nel campo
delle applicazioni, ma esplicare quanto più posso pienamente
l'idea.
26. Or l'idea dell'ordine e del d[i]ritto già da
me analizzata potrebbe darvi il campo d'una grave obbiezione.
«L'ordine dell'universo, potreste voi dirmi, è universale e
costante. Se dunque dall'ordine universale nasce l'idea del d[i]ritto,
tutti gli uomini aver dovrebbero gli stessi d[i]ritti e
tutti immutabili, inalienabili. Frattanto chi non vede l'immensa
varietà, il perpetuo avvicendarsi dei d[i]ritti
nell'umana convivenza?»
Al che è facile il rispondere: che come l'uomo è composto
di ragione e di senso, così il suo d[i]ritto che
de[v]e muoverlo, ha due elementi, uno immutabile e
necessario, l'altro mutabile e contingente: quando voi mirate il d[i]ritto
nell'eterna sua fonte, voi lo ravvisate necessario; quando lo riferite
a' suoi termini contingenti, lo ravvisate mutabile. Nè senza il
connubio dei due estremi opposti aver potreste il d[i]ritto,
quale lo ravvisiamo nella umana società. Voi per cagion d'esempio
avete d[i]ritto d'esser obbedito dal vostro figlio,
servito dall'artigiano, pagato dal debitore: or ciascuno di codesti d[i]ritti,
se ben mirate, sgorga da un'idea di ordine eterna ed immutabile,
s'incarna in un fatto mutabile e contingente. Ogni
figlio de[v]e dipendere dal padre, ogni lavoro da chi
lo paga, ogni imprestito de[v]e tornare al mutuante:
ecco tre idee universali di ordine, che sgorgano dalla natura stessa
de' soggetti contemplati (padre, figlio, artegiano ecc.) e son sempre
ed ovunque verissimi. Ma che il tale sia figlio vostro, che
quell'artegiano lavori per voi, che al vostro debitore abbiate
imprestato denaro; questi sono fatti puramente accidentali ed
ipotetici, che poteano andare tutt'altrimenti. E pure senza questi tre
fatti, ben sussisterebbero le tre idee di ordine, perchè
necessario ed immutabile, ma i tre vostri diritti di padre,
padrone, creditore
verrebber meno. Quando dunque si prende a sostenere un d[i]ritto
qualunque fra gli uomini, uopo è sempre sorreggerlo sopra due
ordini di verità, cioè verità ideali, e verità
storiche: sempre, io dico, perchè essendo l'uomo essenzialmente
contingente nella personale sua esistenza, questa esistenza e
tutte le sue attribuzioni sempre ed essenzialmente debbono dipendere
da un fatto che potea non accadere; senza la verità ideale il d[i]ritto
non è; senza la verità storica il d[i]ritto
non è vostro. Se il figlio non è obbligato ad obbedire,
nessun figlio vi sarà obbligato: se questo fanciullo non è
vostro figlio, non gli correrà quest'obbligo verso di voi.
27. Vero è che certe verità di fatto sono sì
conosciute e lampanti, che niuno si prende la briga di dimostrarle.
Così p. e. chi mai si dà briga di dimostrare ch'egli è
uomo? Quando abbiate dimostrato che certi d[i]ritti
appartengono all'uomo in forza di sua natura specifica, voi applicate
senza più a ciascun individuo umano tutt'i d[i]ritti
che appartengono alla natura, presupponendo il fatto. Ma quando questo
possa rivocarsi in dubbio, sempre ci vogliono le dimostrazioni de' due
elementi, se volete piegare la volontà altrui al vostro intento:
della verità d'idea che gli manifesti l'ordine, della verità
di fatto, che lo incarni nel reale. Quando avete il concetto chiaro di
queste due verità, e lo manifestate altrui evidentemente; questi,
se ha forza a ravvisar la ragione trovasi necessitato a cedere, o come
sogliam dire, sentesi obbligato dal
vostro d[i]ritto.
28. Dal che inferirete un'altra osservazione di qualche rilievo, ed
è che obbligazione e
d[i]ritto
presuppongono ne' lor soggetti l'intelligenza ossia la ragione; e chi
non ha, o non usa la ragione, non ha, o non usa d[i]ritto
ed obbligazioni. E ci voleva un grande sforzo di fantasia poetica o
d'ignoranza che, se la cortesia lo permettesse, dovrei dire
bestiale, per
attribuire d[i]ritto alle bestie, e formar società
filantropiche per
patrocinarli e rivendicarli. Se è male abusare barbaramente delle
bestie, ciò nasce non da' d[i]ritti loro, ma dal
bisogno nostro, o dal d[i]ritto de' nostri simili. Ma
questo sia detto solo per incidenza: continuiamo a svolgere le
conseguenze dell'idea fondamentale di d[i]ritto da noi
stabilita, dando un cenno sulla graduazione de' d[i]ritti,
ossia su i vari gradi di gagliardìa, che in essi naturalmente noi
ravvisiamo.
29. Ogni d[i]ritto, abbiam noi detto, acquista
l'imperativa sua forza dalla volontà del Creatore. Or come va,
che questa volontà sempre onnipotente e secondo ragione
irresistibile, pure vien da noi misurata a certi ragguagli, secondo i
quali diciamo un d[i]ritto più forte, un altro
più debole, ed il primo preferiamo al secondo? È facile il
vedere, che la suprema Volontà ordinatrice non influisce con
egual forza negli ordini parziali, e nell'ordine universale al quale
essi concorrono. Volle certamente il Creatore quest'ordine di forze
materiali e fisiche e chimiche e vegetative; volle quell'ordine di
stagioni, quell'alternar di temperature, quelle vicende igrometriche
per cui sorgono rigogliose le messi e le piante fruttifere; ma
perchè? perchè ne avessero poi alimento gli animali e
specialmente l'uomo. Verrà dunque subordinato l'incremento delle
messi e delle piante al bene dell'uomo e degli animali. Nell'uomo
stesso il Creatore volle un corpo, e pel corpo gli alimenti ed i
ripari; ma tutto ciò è subordinato a quella intelligenza,
che sola compie il gran debito di glorificare il suo Creatore.
Subordinate dunque al ben dell'intelletto saran quelle leggi, che
comandano il sostentamento del corpo, nè il debito o il d[i]ritto,
che può risultare dall'ordinamento inferiore sarà eguale in
forza a' doveri e d[i]ritti risultanti dall'ordine
superiore. Perlochè se due d[i]ritti
di ordine diverso vengano fra loro ad urtarsi, voi già vedete con
quali principii potrete determinare qual debba cedere, qual prevalere;
anzi potreste anticipatamente ridurre a certe formole universali la
graduazione de' doveri o de' d[i]ritti (ed è
questo appunto di che si occupa la scienza morale) dicendo p. e. il d[i]ritto
agli averi de[v]e cedere al d[i]ritto di
esistere, giacchè gli alimenti sono per vivere non la vita per
mangiare: il d[i]ritto della vita de[v]e
cedere alla onestà, giacchè è bene il vivere,
perchè si può vivere onestamente, non già bene
l'onestà perchè prolunga la vita. Col principio medesimo
potrebbero considerarsi le relazioni dell'individuo alla società,
d'una società inferiore ad una superiore, della convenzionale
alla naturale, deducendone il rispettivo valore de d[i]ritti;
il che è di somma importanza in tutte le scienze naturali, come
chiariremo a suo tempo con gli esempi delle varie applicazioni: per
ora non è mestieri entrare in questa specialità, bastando le
universalità già spiegate a dar la vera idea del d[i]ritto
naturale, della sua genesi obbiettiva, della sua forza obbligatrice,
de' gradi ineguali con cui l'esercita: idea che abbiam promesso di
paragonare colla causa assegnatale dagli Unitarii
novelli [cioè dagli artefici della cosiddetta unità d'Italia N.d.R.],
da' promotori del razionalismo protestante.
30. Permettetemi per altro, che prima di passare a codesta nuova
serie d'idee, io mi fermi a chiarirvi quell'epiteto
naturale, che abbiamo aggiunto poc'anzi al vocabolo d[i]ritto.
Si è tanto abusato di codesta voce naturale,
che a poco a poco anche persone più che mediocremente istruite ne
hanno smarrito il vero significato, immaginandosi, che naturale debba
dirsi all'uomo quello soltanto che porta seco nascendo, o quello a che
vien trasportato da una qualunque spontaneità d'istinto: per lo
che ad indagare le leggi di natura
non trovano migliore oracolo da consultare che la natia lor
propensione, e se la collera gli istiga a vendetta, vi dicono
francamente che il vendicarsi è ispirazione
di natura; se la voluttà a lascivia, d[i]ritto
di natura è il libertinaggio. Staremmo freschi se natura
parlasse per organi sì frenetici! Così parve pensarla il
Bentham, quando prese ad inveire contro ogni legge naturale: mirava
egli forse alla vicina scuola Scozzese che sembrò riporre tutto
il valore della legge naturale in quelle propensioni istintive, che
ella decorò col nome di senso
morale, e che ben possono talvolta servirci d'indizi a
ritrovar la legge di natura ragionando sopra codesti movimenti
istintivi, ma non basteranno mai da sè sole ad imporre un
irrefragabil vincolo di obbligazione ad uom ragionevole. Se il padre
sente la tenerezza pe' figli, è egli obbligato ad educarli per questa tenerezza? Se
la tenerezza bastasse ad obbligarlo, se sempre rappresentasse una
legge di natura, ogni affetto, ogni tenerezza, benchè
illegittima, vanterebbe lo stesso valore, produrrebbe la stessa
obbligazione. Legge naturale non è dunque la propensione
spontanea, ma il dover che risulta dalla natural convenienza di
certe azioni per conseguire un determinato intento di natura. Le
propensioni vi spingono, le passioni vi elettrizzano; ma la legge
propriamente detta, allora soltanto incomincia ad obbligarvi, quando
la ragione riconosce la convenienza d'un'azione coll'ordine del
Creatore.
31. Un altro abbaglio si prende da molti, che chiamano legge
naturale quella soltanto che un individuo umano ritrovar
potrebbe nella propria coscienza abbandonata da ogni conforto di
autorità, da ogni consorzio di società, da indirizzo di
magistero: opinione che fu comunissima tra i filosofi miscredenti del
secolo scorso, assenzienti alcuni cattolici, i quali ultimi per
convincere i primi con isperanza di miglior riuscimento, parvero
talora ammettere con essi dover ciascuno individuo andar fornito di
tali forze intellettive, da trovare tutto da sè il Codice morale
della umana natura. Il che è tanto falso, che anzi un tal
possesso di verità naturale è evidentemente assurdo. Volete
vederlo? Voi sapete che le conseguenze di una proposizione universale
non hanno mai termine, essendo sempre possibile di soggiungere
all'ultima proposizione della serie un'altra proposizione (una
sussunta direbbero i logici) per mezzo di cui si tragga nuova
conseguenza. Questo ch'è possibile in ogni altra scienza,
possibile è pure nella scienza morale, e per conseguenza la
natural scienza morale si può estendere indefinitamente. Se
dunque ogni uomo dovesse colle sole sue forze intellettive conoscere
tutta la legge naturale, dovrebbe o possedere attualmente tutta la
infinita serie di proposizioni possibili a dedursi da' principii di
natura, o avere almeno tal robustezza di logica da tesserne tutta la
immensa catena senza traviarne giammai. Or qual è quel Socrate,
quel Platone, quell'Aristotele che tanto osasse arrogarsi?
32. Non prendiamo dunque il vocabolo naturale
applicato all'intelletto ed alla volontà in quel senso
medesimo onde viene applicato alle funzioni vitali: qui sì noi
diciamo, benchè metaforicamente, legge naturale
quella per cui l'organismo opera spontaneamente, come sarebbe
la circolazione del sangue, la chilificazione, il moto peristaltico,
operazioni che ciascun uomo compie da sè stesso senza aiuto della
società, senza documenti di maestro. Ma
quando trattasi di cognizione e di sentimenti morali ingeneranti
obbligazione, la spontaneità non basta, come non basta in
generale a indirizzare gli andamenti dell'uom ragionevole,
benchè talora possa iniziarli in qualche modo incitandolo ad usar
la sua ragione.
33. Ma dunque perchè si è voluto chiamare legge naturale
questa di cui abbiamo parlato, mentre l'uomo naturalmente non
è necessitato, non indotto, non sicuro di giungere a conoscerla?
Per molti motivi; in primo luogo perchè può dimostrarsi
ragionando sulla natura delle cose, per modo che conosciuta dal
magistero di chicchessia una legge, sempre potete osservare
nell'ordine di natura certe relazioni di fatto, che rendono
convenevole l'operare in quel modo determinato, e disconvenevole il
modo contrario. Così p. e. quando udiste intimarvi da fanciullo
il dovere di temperanza, obbediste a' parenti per naturale istinto: ma
se ne aveste indagato il perchè, ben avrebbe potuto rispondervi
il vostro padre tal essere il voler del Creatore, manifestatoci dalla
natura del corpo umano, il quale, se sopraccaricate il ventricolo,
soffre o rende inetto l'uomo alle funzioni mentali: natural dovere
esser dunque la temperanza. Ben vedete come la natura obbiettiva delle
cose dimostra questa legge, anche prescindendo dalla cognizione che
può averne l'individuo o per insegnamento altrui, o per propria
osservazione: conosciate o non conosciate che il cibo soverchio nuoce
al corpo, ed allo spirito, questo fatto non è men vero, nè
men certa in sè la legge di temperanza che ne risulta.
34. Quindi vedete che può dirsi naturale
questa legge di temperanza anche in un altro senso, in quanto
cioè la ragione umana può arrivarvi quando rettamente
discorra senza fallir giammai: il che sebbene all'individuo
non sia naturale (potendo
ogni individuo aberrare in certe deduzioni) pure è naturale alla
ragione umana astrattamente considerata, giacchè la
ragione per sè non erra, benchè erri talvolta
l'uomo servendosi della particolare sua ragione. L'uomo secondo sua
natura specifica discorre rettamente, benchè ogni individuo talor
dica qualche sproposito; in quella guisa appunto che l'uomo ha
naturalmente due occhi e due mani, benchè certuni nascano orbi o
monchi.
35. Ecco dunque due ragioni per cui diciamo naturale il d[i]ritto,
sebbene ogni uomo non nasca col suo codice alla mano: 1.°
perchè il d[i]ritto
naturale ordina azioni convenevoli secondo le naturali
relazioni delle creature. 2.° Perchè questa convenienza
è accessibile alla specifica ragione umana colle forze naturali,
benchè gl'individui non sieno sì fermi nel ragionare da non
prendervi errore mai. Evvi però una terza ragione, che rintuzza
anche più direttamente l'arroganza di coloro, che niuna legge
vorrebbero ammettere come naturale, se non la discuoprano da sè
medesimi, e rifiutano il titolo di naturale a quelle leggi, che l'uom
non conosce colle sole forze
natie del suo intelletto isolato ed indipendente; ed è che questo
isolamento, questa indipendenza è tutt'altro che la natura
dell'uomo. Or qual cosa più strana che chiamar naturale
ciò che non è conforme alla natura? Fu codesto il
sogno o romanzo dell'Emilio Ginevrino [con l'Emilio,
Rousseau propugnò un naturalismo
ottimista nell'educazione N.d.R.]
che nulla comprese nell'ammirabile propagazione delle intelligenze per
via degl'influssi paterni [1]; ma
non fu mai la natura dell'uomo:
natura dell'uomo è il nascere nella società, ricever da lei
i primi lampi delle verità intelligibili col linguaggio, da lei
il dirozzamento delle facoltà ancor grezze coll'educazione, da
lei il retaggio dell'antica sapienza colla tradizione, da lei cento
mezzi materiali in cui s'incorpora l'idea, e si moltiplicano le forze
dell'ingegno: nelle dovizie di questo retaggio sociale, in questa
specie di paradiso terrestre piantato per mano dell'Artefice supremo
viene introdotto ogni uom che nasce, affinchè operandovi lo
conservi, abbellisca e dilati. Questa sì è natura dell'uomo,
chiamato ad operare non solo colle individuali, ma anche colle forze
sociali.
36. Nell'atto però che io vi dimostro non poter ciascun uomo
conoscere il natural diritto colle sole forze dell'isolato individuo,
non intendo asserire come taluni oggidì, travianti nell'eccesso
opposto a' sofisti del secolo scorso, ogni cognizione morale essere in
noi totalmente ed unicamente
dono della sociale tradizione o della religione rivelata:
altro è dire che senza questi conforti le nostre cognizioni non
maturerebbero se non tarde, monche e vacillanti, e per conseguenza di
niuna o pochissima utilità; altro il privar totalmente
l'intelletto umano d'ogni intuizione di verità e di principii. Se
niuno interno obbietto mi si presentasse alla mente quando io discorro
sotto l'indirizzo di un maestro, me gli arrenderei ugualmente docile e
nel vero e nel falso, e tanto mi parrebbe ragionevole il suo
dogmatismo, allorchè egli m'insegna esser virtù la
giustizia, quanto se m'insegnasse esser virtù l'egoismo; tanto
ravviserei vero che due parallele mai non s'incontrano, quanto che
prolungate s'incrocieranno; ed all'opposto tanto sarebbe per me
misterioso il detto che 3+3=6, quanto l'Unità e Trinità
divina: se tutto vien dalla parola, se nulla io ravviso nel mio
intelletto, non vi è più ragione interna per cui una
proposizione mi sembri vera ed evidente, un'altra oscura e falsa, e
così potremmo esser condotti anche a gravi errori contro la fede
da uno slancio di zelo mal cauto con cui vorremmo difenderla.
37. Dal che concludo, che nella mente umana, oltre l'innata
propensione ad abbracciare il vero col suo assentimento, evvi
un'interna intuizione di certe verità prime, che per mezzo della
intellettiva sua operazione ella ricava naturalmente dalle percezioni
sensibili degli obbietti materiali: verità che non posson dirsi
nè totalmente innate, nè positivamente insegnate, essendo un
risultamento della naturale operazione dell'intelletto all'aspetto del
mondo sensibile. Così quando il fanciullo vede dividersi dalla
madre un pomo di cui riceve sol la metà, formasi, benchè non
vi rifletta, l'idea universale che
la parte è minore del tutto, e ne fa tesoro: e lo stesso
dite d'altri simili principii universali. Paragonando poi con codeste
verità le altre sue cognizioni, la mente le ravvisa o vere o
false, ed abbraccia le prime, e rifiuta le seconde per una certa sua
propensione natia: non però mai con sì infallibil certezza,
che possa dire esser ripugnante,
che ella ne' suoi giudizii s'inganni. Questi giudizii ove ella ravvisa
la connessione evidente de' due termini ch'ella congiunge, quando
mirano al pratico, costituiscono la legge naturale;
legge che colle forze della specie
umana può conoscersi per la natural convenienza di certe
azioni, ma che da ciascun individuo può per la infermità del
giudizio o ignorarsi o alterarsi, almeno nelle deduzioni secondarie.
38. Ed ecco perchè riesce sì vantaggioso, anzi al genere
umano sì necessario, che le leggi di natura ci sieno manifestate
per via ancora di autorità, come furono ne' primordii del genere
umano a' nostri progenitori, e nel progresso ad ogni bambolo che
schiuse gli occhi alla luce del giorno, e la mente a' raggi del vero.
Come guiderebbe l'uomo le sue operazioni in tutto quel lungo periodo,
che sarebbe richiesto a studiare con rigoroso raziocinio la
convenienza o disconvenienza delle operazioni, se non trovasse,
nascendo, già promulgata dal Creatore e serbata dalla
società, una norma sicura degli umani andamenti? Il Cartesio,
quando con un salto mortale si gittò o credè gittarsi in
quel nulla intellettuale donde il suo fiat
dovea poi trarre l'intelligenza umana e tutto il mondo
redivivo, ebbe l'avvedimento di serbarsi una morale ed una religione
provvisoria; e potea farlo avendone ricevuto il tesoro da quella
tradizione appunto, cui come ingannevole ed insufficiente vituperava
ed abiurava. Ma il fanciullo con quali norme si guiderebbe
provvisoriamente, con quali norme sarebbesi guidato l'uom
primitivo su i primordii del mondo nell'atto di studiare a proprie
spese e pericolo per lunghi anni le leggi del fisico e morale universo
[2]? E quando finalmente vi fosser
giunti in età già canuta
Candidior postquam tondenti barba cadebat
[Virgilio, Bucoliche,
Egloga I N.d.R.] oserebbero
eglino [= essi, N.d.R.] pronunziare arditamente
di non aver segnato orma in fallo nella sterminata carriera? E se una
sola conseguenza erronea si fosse intromessa nel filo de' loro
raziocinii, non basterebbe questa ad un buon logico, che risalisse
sillogizzando a' primi principii? non basterebbe, io dico, a mettere
in forse i principii medesimi, malgrado l'evidenza delle prime
intuizioni?
39. Ripetiamlo pur dunque: le leggi naturali hanno bensì un
principio di naturale evidenza, per cui l'uomo che rettamente ragiona,
ravvisa la loro giustizia ed utilità; e sotto questo aspetto sono
naturali all'uomo: ma non
per questo ogni uomo è capace di sempre ragionare rettamente, e
così ritrovarle da sè in tutta la pienezza e verità. Ed
appunto per questo esse sono ancor più naturali
all'uomo, la cui natura è
di formare un sol tutto colla società e coll'uman genere, dal
quale l'individualismo protestante vorrebbe dividerlo violentemente;
se questo nodo che congiunge tutti gl'individui umani forma parte
della natura dell'uomo,
più naturali per
l'uomo son dunque le cognizioni solidarie, che non sarebbero le
solitarie; giacchè naturale a ciascun agente è l'operare
a proporzione dell'essere: un essere intelligente opera
intellettivamente, un materiale materialmente. Dunque un essere solidario allora opera secondo
sua natura, quando opera
solidariamente.
Voi dunque che pretendete non esser naturale all'uomo la cognizione
se non sia frutto unicamente delle
sue forze individuali, professatelo pure arditamente, voi riguardate
l'uomo come un essere isolato nell'universo divelto interamente da
tutto il rimanente degli uomini: se egli fosse per voi naturalmente sociale, sociale
ne dovrebbe essere anche la natural
cognizione.
Col fin qui detto volli porre in chiaro il genuino significato del
vocabolo naturale, che
sogliamo congiungere al d[i]ritto,
all'obbligazione, alla legge ecc.: contemplando la
natura di tutti gli esseri mondiali relativamente all'operar umano,
noi sogliamo inferirne, che certe azioni sono per noi obbligatorie,
altre lecite, altre vietate naturalmente,
in forza cioè della natura
dell'uomo e delle cose: questa obbligazione, questa
permissione, questa proibizione dedotte dalla natura costituiscono la
legge naturale, perchè derivano da quell'ordine che il Creatore
ha costituito nella natura dell'universo, ed esprimono per conseguenza
la volontà irrepugnabile del Creatore medesimo.
Questa volontà conosciuta obbliga ogni individuo; ma se venga
ignorata, l'obbligazione, benchè per sè sussista, non giunge
per altro a far sentire l'irrepugnabile sua forza all'individuo che la
ignora.
40. Ecco dunque in ultima analisi la verità
fondamentale, sulla quale de[v]e
necessariamente riposare l'idea dell'ordine e del d[i]ritto,
affinchè possa congiungere fra di loro gl'individui umani. Se
essi riconoscono concordemente un
sol Creatore manifestante a tutti la medesima volontà potranno
esser congiunti dall'idea del d[i]ritto: ma se gli uni
credono ordine ciò che gli altri disordine, la lor congiunzione
sarà tanto impossibile quanto la congiunzione di due idee
contraddittorie.
Se dunque il razionalismo de[v]e congiungere in unica
società non solo tutta l'Italia, ma tutto il genere umano, è
mestieri ch'egli formi in tutti la medesima idea del Creatore e
dell'intento col quale ordinò l'universo. Sarà egli capace
di tanto?
Per rispondere a questo quesito è or mestieri esaminare
attentamente che cosa sia codesto razionalismo, e qual forza aver
possa a rannodare in unica idea tutte le intelligenze.
[CONTINUA]
NOTE:
[2] L'Opinione
(15 Giugno 1850 N.° 162 Appendice)
riconosce l'insufficienza della ragione ne' principii del genere
umano, allorchè «latente come fuoco nella selce, perchè
senza sperienza, era incapace di distinguere le sostanze alimentari,
le mortifere, le medicamentose, e scansare un mondo di pericoli.»
Ma invece di ricorrere ad una primitiva istruzione datale dal
Creatore, e tramandata poi da una generazione all'altra per mezzo
della tradizione sociale, preferisce l'ipotesi di un sesto senso, la
chiaroveggenza magnetica, col quale l'Opinione
spera potersi trarre d'impaccio. «Imperocchè di buon'ora e
probabilmente fin dal primo uscire dalle mani del Creatore... non
pregiudicato da sistemi e da educazione... l'uomo sentì inerente
in sè una particolar facoltà, che chiameremo senso intimo,
chiaroveggenza o simili atta a servirgli di bussola, e ad essere per
Lui ciò che per gli altri animali l'istinto. Possessore di questa
facoltà è naturale che
tal volta vi ricorresse... non dovette
tardar guari a sperimentare il suo intimo direttorio, affine
di ripristinare la sanità, e trasceglier l'erbe ecc. ... e di qui
probabilmente ebbe origine
la cognizione de' semplici, delle acque, de' minerali, di molti
fenomeni ecc.»
Non è mio intendimento rifiutare o screditare ciò che vi ha
di fisicamente vero nelle dottrine magnetiche, intorno alle quali la
voce autorevole della Chiesa, guida sicura de' sapienti Cristiani,
nell'atto del condannare alcune applicazioni o disoneste o pericolose,
nulla pronunziò finora in pregiudizio delle teorie. Senza
deridere col linguaggio altiero degli spiriti forti i sospetti delle
anime timorate, e senza ricorrere a' luoghi comuni della
inquisizione, de' pregiudizii, delle incantazioni diaboliche, delle
superstizioni, dell'invenzione di ossessi e scongiuri,
crediamo che si possa sospendere il giudizio intorno a' fatti
magnetici, studiarli, riconoscerli, e dopo le legittime prove
accettarli.
Ma pretendere d'attribuire la chiaroveggenza per guida all'uomo extrasociale, trasformandola in
un sesto senso, questo mi sembra (checchè ne dica l'articolista)
non sol risibile, ma anche contraddittorio. Contraddittorio
all'esperienza, la quale ci dice, che la chiaroveggenza magnetica
vigoreggia solo in chi dorme, e se ne perde al destarsi per fin la
memoria: or l'uomo unico della sua
specie (come dice l'Opinione)
e non sottoposto all'azione d'altri
esseri uguali a lui, da chi sarebbe stato magnetizzato, e a
chi avrebbe parlato dormendo, onde risapere, allo svegliarsi, gli
oracoli da sè pronunziati nel sonno magnetico circa
l'infermità sua e le medicine opportune?
Contraddittorio psicologicamente, non potendosi comprendere come
tutto il genere umano abbia potuto perdere perfino la memoria non che
l'uso di un senso, e senso così utile, che dall'autore vien detto
il più maraviglioso forse de'
doni di Dio. Certamente se qualcuno osasse stampare che al
fine di questo secolo tutto il genere umano, meno alcuni pochi
segretissimi ed incerti adepti, che forse se ne ricorderanno,
avrà dimenticato d'odorar col naso, o di ricorrere al cibo per
acquetare gli stimoli della fame, chi potesse trattenere il riso,
griderebbe all'assurdo.
Contraddittorio alle leggi di buona critica, la quale non può
approvare che per dimostrazione di asserzioni così gratuite si
ricorra a libri sacerdotali dei
Caldei e degli Egizi, se
fosse possibile farli risorgere; all'arcana
sapienza delle iniziazioni severamente
nascosta ne' misteri dalla
cupa gelosia degli adepti, e ad una chi
sa qual luce, che quindi sarebbe
forse recata. Pretendere di
combattere le indubitate ed universali tradizioni storiche intorno a potenze soprannaturali, ad ossessi, a
scongiuri, alcuni de' quali sono riconosciuti come autentici
da trecento milioni d'uomini i più inciviliti del mondo, anzi
autori della moderna civiltà (nulla dico dell'autorità della
Chiesa Cattolica): pretender, dico, di combattere codesta storia co'
libri possibili, coi misteri nascosti, e con la luce chi sa quale, ella è
critica tanto più stravagante, quanto che l'A. pretende
appoggiarsi alla natura, ai fatti,
all'osservazione. Che se certi ossessi e fatti soprannaturali
poterono inventarsi, altri ve n'ebbero di veraci che servirono di
modello agl'inventori, giacchè mai nulla s'inventa dall'uomo,
senza un tipo di realtà originale a cui conformarsi.
Se non avessimo un fatto quotidiano, patente, naturale, per ispiegare
la propagazione di quelle verità, cui la ragione vergine
d'ogni impressione e senza esperienza non potrebbe conoscere;
se non vedessimo ogni fanciullo
presso tutti i popoli, in tutte le età, in tutt'i climi
illuminato dalle tradizioni
primitive fin dal primo uscire dalle mani del Creatore, circondato
da una società non
artefatta, atta a servirgli di bussola e ad essere per lui
meglio che per gli altri animali l'istinto; compatirei, che si
ricorresse col sesto senso
alle ipotesi, a' misteri nascosti, a' libri possibili. Ma vedendo
ciò che accade a tutti gl'individui umani, meno quella coppia
uscita (lo riconosce l'A.) dalle mani del Creatore, ci sembra assai
più naturale il dire col sacro testo, che il Creatore medesimo
manifestasse da sè a questa
prima coppia le verità di prima necessità,
tramandate poi di famiglia in famiglia, anzi che credere alle
rivelazioni d'un sonnambulismo magnetico che constituisse un
sesto senso ad uso dell'uom unico, il quale per altro non
avrebbe potuto usarne senza deviare dalle leggi a cui oggidì va
soggetto il sonnambulismo redivivo. Se qualcheduno per ispiegarmi i
progressi delle scienze moderne mi raccontasse ch'esse nacquero nel
paese de' Samoiedi o presso i Calmucchi, da un cert'uomo cieco a cui
fu donata una enciclopedia, donde egli trasse tutte le nostre
dottrine, io gli risponderei, che siccome i ciechi oggidì non
possono leggere la stampa ordinaria, così senza miracolo non
potrei credere, che i ciechi leggessero nel medio Evo: e per[ci]ò
al Calmucco preferirei il Guttemberg ed all'enciclopedia donata al
cieco le pergamene conservate da' monaci. Nello stesso modo per
ispiegare le cognizioni di medicina e di fisica tramandateci dall'uomo
unico, preferirò il metodo de' magni maestri fondato sopra un
fatto, che tutti veggono, famiglia
e società, alle possibilità futuribili d'una
chiaroveggenza, utile, secondo le leggi che oggidì naturalmente
la guidano, a tutti fuorchè all'uomo unico; il quale dato anche
che avesse potuto vedere dormendo senza aiuto d'un magnetizzatore
tutto avrebbe poi dimenticato allo svegliarsi.
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