L'apostolato Cattolico (I)
R. P. Giovanni Perrone d. C. d. G.
Prefetto Degli Studii Nel Collegio Romano
Da: L'Apostolato cattolico e il proselitismo protestante ossia L'opera di Dio e l'opera dell'uomo, parte I, L'apostolato Cattolico, Genova 1862 pag. 5-33
Il bel nome di Apostolo fu consacrato dalle labbra medesime del
divino Redentore, quando, come narrasi da san Luca, dopo aver passata
la notte sul monte orando, fattosi dì, chiamò i suoi
discepoli e dodici ne trascelse, cui diede il nome di Apostoli; Factum est autem in illis diebus, exiit
in montem orare et erat pernoctans in oratione Dei, et cum dies
factus esset, vocavit discipulos suos, et elegit duodecim ex ipsis,
quos et Apostolos nominavit [1].
Così quel nome, che secondo la sua naturale significazione dinota
un messo o legato spedito ad annunziare ed a trattare a voce
autorevolmente qualche grande affare, nella bocca di Cristo fu
consecrato qual nome di dignità e di officio divino, ond'Egli
distinse i primi banditori dell'Evangelio, ch'Egli stesso mandò a
predicare per tutto il mondo. Con tal nome Egli raccomandò ai
popoli questi suoi eletti discepoli; siccome quelli che non si
assumevano da sè stessi l'officio di predicare, nè
insegnavano le proprie dottrine, nè cercavano la loro gloria, ma
erano mandati dal divin Redentore siccome nunzi dei suo Vangelo per la
gloria di Dio e per la salute delle anime.
Questa solenne missione Egli rinnovò prima di salire al cielo,
quando, come abbiamo dalle preziose parole colle quali chiudesi il
Vangelo di san Matteo, Gesù si appressò agli Apostoli e
parlò loro dicendo: che a lui era stata data ogni potestà in
cielo ed in terra, che andassero ad ammaestrare tutte le genti
battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo,
ed insegnando loro ad osservare quant'Egli aveva ad essi ingiunto; e
conchiuse con quella solenne promessa, ch'Egli stesso sarebbe con loro
perennemente sino alla fine de' secoli:
Et accedens Jesus locutus est eis dicens: Data est mihi omnis
potestas in coelo et in terra. Euntes ergo docete omnes gentes,
baptizantes eos in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti,
docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis, et ecce ego
vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi [2]. Con le quali parole il divin
Salvatore perpetuò nella sua Chiesa l'opera divina
dell'apostolato. Tale è la divina origine e del nome e della cosa
significata per l'apostolato
cattolico proprio di quella sola Chiesa di Gesù Cristo,
che è una, santa, cattolica ed apostolica. Di questo cattolico
apostolato noi imprendiamo a parlare, mirandolo a parte a parte in
sè stesso, ed in opposizione a quel falso apostolato, che senza
alcuna missione si arrogano le Sette dalla Chiesa divise e che noi
intitoliamo proselitismo,
essendo ben ragione distinguere anche nel nome cose così opposte.
Cotesta voce derivasi dai Proseliti, nome che di per sè non
significa altro che di recente venuti ed aggiunti; ma che suoi
prendersi in mala parte, benchè originalmente avesse e possa
anche aver buon senso. Proseliti chiamavansi da' Giudei quelli che lor
si accostavano venendo dalla gentilesca superstizione, i quali eran
tenuti sibbene ad osservare la legge, ma non fruivano però del
nome di figli d'Israele e de' loro privilegi, ed erano per lo più
adoperati negli uffici più bassi, servili e laboriosi. Questi
come di fresco venuti ed accostatisi al popolo di Dio si appellarono proseliti, come raccogliesi da
vari luoghi delle divine Scritture [3],
o altrimenti si chiamarono advena
o peregrini.
Nella legge di grazia che è di sua natura cattolica ed
universale, non vi è più in Gesù Cristo nè
forestiero nè Giudeo, nè servo, nè libero [4]; nè più vi sono hospites
et advenae, essendo tutti cives
sanctorum et domestici Dei [5];
ma la religione giudaica non essendo per sua natura o istituzione
universale, si tenne paga di venir aggregando alla Sinagoga uomini
nuovi venuti dal gentilesimo; che però distingueva dai
discendenti di Abramo e si tenevano in conto quasi di forestieri [6]. Di mano in mano alcuni giudei si adoperarono a
tutto potere ad accrescere il numero de' loro proseliti, non già
per zelo della divina gloria, e per bene delle anime, ma sì per
gloria mondana, per interesse, per far partito e per altri fini
terreni.
Questo proselitismo, ossia questo prurito di far proseliti fu ripreso
gravemente dal divin Salvatore negli Scribi e negl'ipocriti Farisei,
che con zelo affannoso e turbolento andavan per terra e per mare
cercando un proselito per ispirito di parte e di Setta, per ingrossar
le loro file, per farsi un nome, e ottenuto l'intento abbandonavano
questi miseri acquisti, rendendoli così peggiori di quel che
fossero per l'addietro, e de' loro maestri: Vae
vobis Scribae et Pharisaei hypocritae, quia circuitis mare et aridam
ut faciatis unum proselytum; et cum fuerit factus, facitis eum
filium gehennae duplo quam vos [7].
Non già come osservò sant'Agostino contro Adimando Manicheo
per colpa della legge giudaica, ma perchè insegnavano a sì
fatti proseliti le lor false dottrine e pratiche perverse, e con
ciò li rendevano più colpevoli fino a meritare peggior
dannazione [8]. Quindi è che
il nome stesso di proselito e di proselitismo oltre la natia
significazione porta aggiunto per uso comune un senso di cosa
riprovevole, ed ha un non so che di odioso e dispregiativo.
Appunto perciò gli eretici
dieder nome di proselitismo allo stesso cattolico apostolato, e
veggendo lo zelo della Chiesa nel predicare il Vangelo, e mandare
missionari per la conversione de' gentili e degli eretici, essi per
gelosia di sì belle conquiste gridano a piena gola al
proselitismo, reclamano contro il proselitismo, non cessano
dall'accusa di proselitismo, e nelle loro assemblee, ne' loro
scritti, ne' loro giornali inviliscono l'opera di Dio con questa
voce di proselitismo. Ma no, la Chiesa cattolica non conosce
proselitismo. Ella nelle conversioni che procura, e che dee
procurare incessantemente, altro non fa che compiere l'alta missione
a lei affidata e comandata dal suo divin Fondatore; e però
tutta l'opera sua nella conversione de' popoli per tutto il mondo e
per tutti i tempi ha divinamente il nome di Cattolico apostolato.
Il nome di proselitismo, e appunto nel suo senso peggiore, ricade
anzi sul capo di quegli eretici, che lo avventano contro la Chiesa
cattolica. Mentre i loro emissari si brigano di portare ai popoli il
lor vangelo, e valicano mari e monti, tutto il lor fare è un
misero proselitismo di setta. Chè il vero apostolato non può
appartenere a comunioni, o meglio, a Sette dalla Chiesa cattolica
separate e divise. Poco monta che tali Sette si dicano Ariane o
Nestoriane, Luterane, o Calviniste, Quacheriane o Metodiste;
perchè loro non possano convenire i sacri nomi di apostolato, di
apostoli e di missionari, basta che sien divise dalla Chiesa a cui
Gesù Cristo commise l'apostolato. Per[ci]ò a
dinotare l'opera delle Sette in mandare emissari e far nuovi addetti
tra gl'infedeli e più ancora tra cattolici, noi adottiamo in
questa nostra trattazione il nome di proselitismo, benchè ancor
questo nome sia anche troppo onorato per dinotare cosa sì
riprovevole. Il diciamo poi proselitismo
protestante, sia perchè poco ci cale delle viete Sette,
che già furono e più non sono; sia perchè il movimento,
o meglio, l'agitazione degli eretici di ogni fatta in predicare a lor
foggia il vangelo e guadagnar gente è cosa di questi ultimi
tempi, e propria di quel protestantismo, che prima die' e dà
tuttora la taccia di proselitismo all'apostolato della Chiesa romana.
Chiarite così le voci di apostolato cattolico e di proselitismo
protestante, ragion vuole che dai nomi passiamo alle cose per lor
significate, e che dando in questa introduzione una generale idea,
quindi del cattolico apostolato, e quindi del protestante proselitismo
mostriamo così in generale come a un colpo d'occhio, che quello
è opera di Dio, e questo opera dell'uomo.
La riabilitazione dell'uomo caduto e degradato per la colpa di
origine al conoscimento e all'amore di Dio per mezzo del divin
Riparatore ci fornisce la generale idea del cattolico apostolato nella
sua natura e nel suo fine. Deve perciò di assoluta necessità
muover da Dio, ed essere tutta opera di Dio. Ma Iddio fa le sue grandi
opere e si piace di adempiere i suoi disegni di misericordia per mezzo
dell'uomo stesso; che per[ci]ò Egli stesso li
sceglie come suoi stromenti e cooperatori. A tal fine Egli dà lor
la missione, gl'informa del suo Spirito, o all'uopo li fa anche
depositari del suo potere coi doni straordinari di Carismi, li
favorisce insomma divinamente di tutti i mezzi che la divina sapienza
conosca essere necessari ed acconci al conseguimento del fine. Ecco
una idea generale e come un abbozzo dell'Apostolato e dell'Apostolo.
Tale pertanto essendo la natura dell'apostolato, ne conseguita che
esso debba avere in sè i luminosi caratteri che convengono
all'opera di Dio, e per parte degl'inviati quelle doti che li
manifestano per inviati di Dio. L'apostolato è l'opera di
misericordia divina, che abbraccia tutti i tempi, tutti i luoghi,
tutti gli uomini della terra. Ci conviene adunque risalire alle
origini e ricordare come Dio trasse l'uomo dal nulla per un tratto di
sua spontanea bontà per renderlo eternamente felice, non già
di qualsivoglia felicità, ma di quella che consiste nel
possedimento stesso di Dio, a condizione però che l'uomo gli
fosse fedele nel servirlo, nell'amarlo e nel glorificarlo. A questa
condizione indispensabilmente necessaria l'uomo fin dalla sua origine
mancò, e colla trasgressione del divino mandato ei perdette in un
colla felicità temporale la felicità eterna. Per tal
trasgressione l'armonia si sconvolse di sua natura per la quale egli
provava le più elette delizie nel conoscimento di Dio, e
nell'adesione a Dio, fornito com'era della originale giustizia, ossia
della grazia santificante in un coi doni ad essa annessi dalla divina
liberalità: doni preziosi oltre ogni credere, perchè la sua
mente era da Dio illustrata e retta la sua volontà, la sua
ragione era in tutto a Dio soggetta e nulla la turbava; la parte sua
sensibile era pienamente dalla ragione dipendente, e il suo corpo
dotato del privilegio della immortalità. Colla, colpa tutto fu
perduto.
Ma che? Dovea adunque l'uman genere giacersi perduto
irreparabilmente, nè più rialzarsi dalla sua caduta! Ah no;
non dovea per sempre perire questo capolavoro dell'Onnipotente, questa
immagine del Dio vivente. Il Signore nella infinita sua misericordia
accorse alla sua rovina e lo innalzò colla promessa di un suo
Liberatore e Salvatore. Con questa fede e con questa speranza i
discendenti di Adamo furono richiamati a quell'alta dignità
primigenia in cui furono nella loro creazione da Dio costituiti. Che
se si chiusero loro le porte dell'Eden, loro si schiusero, anche prima
che si pronunziasse contro di essi la sentenza di loro condanna, le
porte del Cielo promesso loro in retaggio mediante la fede e l'amore e
la osservanza di quella legge, che Dio aveva scritta ed impressa ne'
loro cuori.
Se non che cedendo i degenerati figliuoli alle prave tendenze
cagionate in essi dalla colpa primitiva di origine, si appresero di
preferenza a quanto allettava i loro sensi, e a poco a poco
dimenticaronsi del loro benefattore, della fedeltà a lui dovuta,
delle promesse lor fatte. Incurvati verso la terra, fatti schiavi de'
loro sregolati appetiti, l'iniquità a guisa di cataclisma coperse
la superficie della terra. Progredì tant'oltre l'obblio e la
dimenticanza di Dio Creatore, che giunsero gli uomini a fare obbietto
del loro culto da prima gli astri del firmamento, poscia adorarono le
opere delle loro mani, e perfino i bruti e i prodotti del campo. Tutte
le passioni furono per tal modo divinizzate, e la più turpe
idolatria prevalse nell'universo.
Sarebbe senza dubbio perita la vera religione, non ostante una vaga
reminiscenza che si conservò mai sempre presso gli antichi popoli
di un Dio supremo, ma soffocata dalle innumerevoli superstizioni,
qualor Dio fin da principio non avesse istituito una specie di
apostolato sia per conservare, sia per trasmettere alla posterità
l'unica vera religione. Ciò egli fece da prima per mezzo di
patriarchi o capi di famiglia, poscia per mezzo di un intiero popolo
discendente da Abramo, da Isacco e da Giacobbe. In questo solo popolo
ebbe Dio un pubblico culto, e in esso si conservò intemerata la
verità della rivelazione divina, e ciò non senza una
provvidenza straordinaria e tutta speciale. Così l'opera di Dio
venne perpetuata fino alla gran ristorazione dell'uman genere colla
espiazione dell'Uomo-Dio, Gesù Cristo Salvatore universale
promesso dal principio del mondo.
Non è già, che in tutto questo tratto di tempo, cioè
di quaranta secoli, non si trovassero alcuni uomini giusti i quali
conservassero anche al di fuori della Sinagoga viva la fede del
promesso Liberatore, e mediante la divina grazia, la quale a veruno
non mai mancò, osservassero la legge naturale, e per[ci]ò
si trovassero nella vera via della salute; ma questi eran pochi, avuto
riguardo alla deviazione pubblica di tutte le nazioni dalla vera
religione. La cosa mutò al tutto di aspetto dopo la venuta del
divin Redentore, il quale dalle angustie della Giudea volle estesa a
tutto l'universo la religione discesa dal cielo, e la volle perpetua
per tutti i secoli. A questo fine fondò la Chiesa sua qual mezzo
ordinario di salute per tutti gli uomini. La istituì una, santa,
cattolica, visibile sempre e indefettibile per tutti i secoli
avvenire. A questo fine la volle edificata su Pietro, da esso
costituito capo e principe del Collegio apostolico, come sopra ferma
ed immobile pietra o rupe ai pie' della quale tutti i minaccianti
flutti delle umane passioni s'infrangessero, e gli sforzi e conati
tutti dell'inferno contro lei congiurato nella serie di tutte le
età, finchè durasse il mondo venissero conquisi.
La Chiesa pertanto di Gesù Cristo a propriamente parlare altro
non è che un apostolato universale e perpetuo; la quale
perciò fu da questo divin suo Fondatore arricchita di quelle doti
che ad un sì nobile fine di condurre gli uomini a salvamento eran
richieste: le doti del suo Spirito, cioè dello Spirito di
carità, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, di
sagrificio. Venne a lei assicurata la divina speciale assistenza per
cui intatto mai sempre conservasse il deposito prezioso affidatole di
sua divina rivelazione. Il cattolico apostolato altro non è di
sua natura che l'azione benefica e vivente della divina carità,
universale, che si spande su tutti, perpetua, che si estende a tutte
le età, efficace, che produce fiori e frutti di eterna vita, che
dà vita al mondo, cui illumina e feconda di ogni maniera.
L'apostolato cattolico è la permanenza in terra e continuazione
della presenza del Dio umanato Gesù Cristo, il quale nella
persona dei suoi inviati seguita a vivere, ad operare, a beneficare
l'uomo nel suo passaggio dal tempo all'eternità; l'apostolato
cattolico in fine è un prolungamento dell'apostolato stesso del
Dio Salvatore inviato dal Padre per la santificazione del mondo.
Poichè, sebbene siasi egli involato agli occhi nostri colla sua
salita al cielo, pure non lascia di vivere eziandio seco noi su questa
terra. Ciò che egli significa con quelle solenni parole, colle
quali assicurò i suoi discepoli che sarebbe sempre rimasto in
compagnia loro nella grande impresa che loro affidava dicendo: Ecco
che io sono con voi in ciascun giorno sino alla consumazione de'
secoli; parole che esprimono tutto assieme la cooperazione scambievole
e di Gesù Cristo co' suoi apostoli, e degli apostoli con
Gesù Cristo, di Gesù Cristo quale agente principale e
primario, e degli apostoli come agenti secondari da esso lui animati e
confortati. Esprimono l'unità, o se si voglia la sintesi
dell'agente e dello strumento ad un medesimo fine. Esprimono la
sicurezza dell'esito di una cosifatta missione.
Di qui rampollano quelle formole delle quali fe' uso san Paolo per
significare la natura dell'apostolato, allorchè chiamò
quelli che lo esercitavano cooperatori
o coadiutori di Dio,
ministri di Cristo, dispensatori
de' misteri di Dio. [«Dei enim sumus
adiutores», I Corinth. III, 9; «Sic nos existimet homo ut
ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei.» I Corinth
IV, 1. N.d.R.] Con queste
formole ci fa egli conoscere, che Dio stesso è quegli che parla
pei suoi apostoli, che persuade e convince pe' suoi apostoli, che
trionfa de' cuori pe' suoi apostoli, che egli parla al di dentro alla
mente ed al cuore degli uditori, mentre essi fanno udire la loro voce
alle orecchie di quei che li ascoltano; che Dio è quegli che
comunica la forza e il vigore agli stessi suoi inviati, l'umiltà,
la pazienza, il coraggio necessario per superare e vincere gli
ostacoli di ogni maniera, che si oppongono alla malagevole impresa;
che Cristo stesso si reputa nella persona de' suoi inviati onorato o
dispregiato, perseguitato ed immolato tra i più crudeli supplizi.
Senza una tale assistenza e
cooperazione speciale di Dio, l'apostolato sarebbe assurdo,
poichè sarebbe l'opera dell'uomo; ora l'uomo non
mai potrebbe accingersi all'ardua impresa di riformare il mondo qual
è nel suo concreto. Riformare il mondo per mezzo
dell'apostolato cristiano e cattolico dice niente meno, che
dissipare fittissime tenebre secolari, cioè da più secoli
condensate nelle menti degli uomini per la educazione pubblica, per
la istituzione domestica, per tradizione volgare e popolare. Dice
nientemeno che sostituire a quelle tenebre una luce brillante, la
quale discuopra la falsità, gli errori, i pregiudizi di ogni
fatta, che per lunghe generazioni avean gettate profondissime radici
nelle menti dei popoli traviati da un fanatismo senza misura.
Significa sottrarre uomini corrottissimi, che non conoscono altra
legge che quella delle più abbiette passioni, delle più
ignominiose cupidigie, dal giogo del vizio ed avviarli all'arduo
sentiero della virtù fino all'abnegazione di ogni men retta
tendenza e propensione disordinata del cuore. Vuol dire assoggettare
questi uomini stessi gonfi di loro indipendenza e libertà in
materia di religione al giogo di un'autorità inflessibile, a
pratiche al tutto ripugnanti alla guasta natura, come per cagion di
esempio alla confessione di loro colpe, alle astinenze, ai digiuni.
Impresa per verità cotanto difficile, ed anzi alla umana
condizione impossibile, che affidata all'uomo solo avrebbe non
dirò del temerario, ma dell'assurdo. E pure tale e non altro
è l'intraprendimento dell'apostolato cattolico, il quale per
essere istituito da Dio, per essere ispirato da Dio, retto da Dio,
sostenuto da Dio ha operato ed opera incessantemente nel mondo un
rinnovellamento ed una ristorazione la più ammirabile, sempre
pieno di vigore e di vita, come nella freschezza di sua età,
sempre nella forza di sua virilità, senza che mai non provi
stanchezza, o venga meno nel lungo corso de' secoli.
Di qui è che chi è chiamato ad un così prodigioso
apostolato debba essere investito dallo spirito di Dio, e staccato da
ogni affetto alle mondane cose, e perfin dall'attacco alla propria
vita, pronto a sacrificarla qualor fia d'uopo pel bene de' popoli che
si è proposto di evangelizzare. E di fatto il corso ordinario
dell'apostolato cattolico è quello di una continua abnegazione,
di un lento sacrifizio che si consuma o con una morte violenta, ovvero
con una morte accelerata dalle fatiche, dagli stenti e dalle
privazioni di ogni genere. Vi si richiede una carità a tutta
prova per continuarla con una costanza invincibile nel superare le
difficoltà che vi si frappongono o dalla malizia degli uomini o
dall'atmosfera mal sana nella quale son talora costretti vivere i
missionarii, o dalla malignità del clima, dalla intemperie, dal
genere di vitto, dalla scarsezza de' prodotti, dai lunghi viaggi, e da
mille altre cagioni.
Vi vuole uno zelo ardentissimo della salute delle anime che a guisa
di fiamma agiti e metta in moto il cuore di quest'inviati per cui non
paventino i pericoli che loro si presentano ad ogni piè sospinto,
non temano agguati, non si atterriscano dei tradimenti, non siano
ributtati dall'orrore che sorge dalle scortesi maniere, dai rozzi
tratti, dai costumi, dalle sozzure e infermità di quei che si
propongono coltivare. Si richiede una pazienza senza limiti poi tanti
incontri ne' quali si avvengono, per gli oltraggi che ricevono, per le
ingratitudini che debbono sostenere. Vi è d'uopo di una
santità salda per non arrischiare la propria salute pei tanti
oggetti seducenti che lor si paran davanti, e dare ai popoli tra'
quali vivono quell'esempio di ogni virtù che si addice ad un vero
evangelizzatore, che parla in nome della Chiesa, ed anzi di Dio, del
quale è il rappresentante, attalchè spanda tal luce che
ognuno al solo vederlo e trattare con esso lui conosca e ravvisi in
esso l'uomo di Dio, l'inviato di Dio, il quale per niun proprio
interesse, ma unicamente pel bene delle anime si adopra ed anzi
s'immola in siffatto ministero. Conviene che sappia e possa cattivarsi
la più illimitata fiducia per cui sian fatti certi di affidare a
guida sicura la propria coscienza, e l'affare più rilevante che
siavi il mondo, qual'è la eterna salvezza.
NOTE:
[1] Luc., VI, 12-13.
[2] Matth., XXVIII, l8-30.
[3] Paralip., XXII; Tob., I;
Ezech., XVI.
[4] Galat., III, 28.
[5] Ephes., II, 19.
[6] V. Nic. Du Mortier, Etym.
sacrae graeco-lat. Romae, 1703. Ved. inoltre presso Corn. a
Lapide parecchie testimon. de' Padri; inoltre gli stessi autori
protestanti Kuinöel e Rosenmuller al cap. XIII di san Matt. Come
pure il Calmet a questo luogo, dove vi sono più cose a notare.
Erano dai Talmudisti considerati i proseliti come la postema e la
lebbra della nazione. Vedi l'impegno di far proseliti ivi ben provato
dagli autori profani e i motivi pei quali a ciò fare si movevano
gli Ebrei.
[7] Matth., XXIII, 15, e sopra
questo luogo vedasi Maldonato, noochè i protestanti Grozio,
Camerario, tra i critici sacri.
[8] Cap. XVI, Opp. Ed. Maur.,
tom. VIII, col 134.
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