giovedì 10 novembre 2016

LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII. PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (V) [1]

R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XII (fasc. 707, 25 novembre 1879), Firenze 1879 pag. 529-547.

IV.

Seguita dei conseguenti

L'esecuzione della Regola Filosofica

Il Santo Padre Leone XIII comunicò a tutti i Vescovi della Chiesa l'idea dell'insegnamento filosofico cristiano. Ciò fu necessario; ma non è tutto. Per certo fu gran cosa che Michelangelo abbia concepita l'idea della statua del Mosè, nè questa avrebbe avuto l'essere senza l'esemplare ideale; ma ciò che sopra tutto importava era l'attuazione nel marmo dell'idea stessa. La società non può essere guarita colle sole idee dei rimedii acconci a ridonarle la sanità; sì dalla applicazione dei rimedii. Per la quale cosa il medesimo Santo Padre eccitò i Vescovi e, per essi, tutti quelli che sono sotto la loro giurisdizione, a porre i mezzi opportuni per incarnare nel fatto l'ideato filosofico insegnamento. Quindi essi certamente con ogni studio, costanza, lealtà, franchezza e fortezza si adopreranno a tale scopo. Dicevamo studio, perchè dalle cose discorse ben si vede che non è cosa leggiera ordinare l'insegnamento della cristiana filosofia, ma grave ed intricata: costanza, perchè, qualora que' che debbono invigilare chiudano o torcano l'occhio, naturalmente l'insegnamento si guasterà; lealtà, perchè questi non debbono aggiustare l'idea del Papa alla propria, alterandola e mutandola, ma viceversa la propria a quella del Papa: franchezza, perchè se per ciò fare fosse necessario opporsi ad una tal quale pubblica opinione, comechè falsa, l'umano riguardo, anche in persone altolocate e per dignità eccellenti, si risente: finalmente fortezza, mercecchè avvisiamo che assai spesso si richiederà più forza per togliere i moderni pregiudizii in fatto di scienza e per usare tutti que' mezzi che sono necessarii ad eseguire la Regola Filosofica, di quello che sia a compiere imprese che paiono grandi e di difficile riuscimento nell'ordine fisico o materiale.
E poichè ci accadde di far menzione della statua del Mosè, osserviamo che a far sì che l'idea di Michelangelo fosse recata ad atto perfetto, due cose erano necessarie: il soggetto acconcio, ossia il marmo, e la mano dell'artefice, la quale con perizia adoperasse lo scalpello. Nel caso nostro il soggetto sono i giovani, ai quali vuolsi insegnare filosofia: e di questo soggetto diremo soltanto due cose, l'una che riguarda l'averlo alla mano, l'altra che ha rispetto alla sua indole. È un lagrimevole fatto, e che torna a ruina della società tutta quanta, che la massima parte della gioventù sfugga alla materna cura della Chiesa, e sia ammaestrata, in moltissimi luoghi, da professori materialisti ed atei, i quali reputano l'apice del progresso intellettuale l'emanciparsi non solo dalla fede, ma dai principii sovrani dell'umana ragione. Il difetto di libertà d'insegnamento, voluto, con manifestissima contraddizione, dai gridatori di libertà di pensiero e di parola, è causa di tanto male, ma non è causa piena. Ciò che a questa causa manca viene da altra parte; e noi che vogliamo per pubblico bene parlar franco, nè approvare macchie che imbrattano ciò che pure, per altri capi, merita grande lode, diremo schietto il nostro pensiero. A render piena quella causa supplisce il timore e la lentezza dei buoni cattolici. I quali quanto pronti a far voti per ottenere la totale libertà d'insegnamento (e questi voti sono commendevolissimi, da eccitarsi, e da moltiplicarsi), altrettanto si sono fin qui, in molti luoghi, mostrati lenti nell'approfittarsi di quel poco di libertà, che pur vi è, rispetto all'insegnamento stesso. Altri gl'incolpa non di lentezza ma di strettezza soverchia di mano: noi no. Infatti abbiamo veduto che per opere di carità, per funzioni ecclesiastiche, per pellegrinaggi, per giubilei, e per tante dimostrazioni di affetto e di compassione alla gloriosa e santa memoria del sommo Pontefice Pio IX (fino a presentargli in oro quella doppia catena onde fu avvinto san Pietro) i buoni cattolici italiani non vennero meno al dovere, ed alle convenienze; si mostrarono, nella pia generosità, veri figliuoli dei loro maggiori, e veri fratelli dei cattolici delle altre nazioni europee, che in fatto di generosità diedero, a' dì nostri, magnanime prove. Tuttavia non bene e praticamente ricordevoli di quell'haec oportuit facere et illa non omittere [Matth. XXIII, 23: «Queste cose era d'uopo di fare, e quelle non omettere.» N.d.R.], non fissarono tutta la loro attenzione sopra le scuole che si potevano e che si dovevano aprire per evitare un gran male e per fare un gran bene. Ma il Papa mandatoci da Dio per insegnarci praticamente che la sapienza reca a salute i popoli, non contento di avere con la sua parola illuminata, in questo proposito, la nostra mente e accesoci in cuore un santo zelo, ci viene dando tale un esempio in Roma che, per certo, sarà fecondo di eletti frutti. Per lo che abbiamo buona ragione da sperare che numerosissime scuole pei laici giovinetti si apriranno, e che pure a loro, quanto e dove si potrà, si darà accesso nei Seminarii, per sottrarli alle seduzioni che si hanno nelle scuole poco o nulla cristiane, e per informarli a quella soda e sincera dottrina, ch'è voluta dal Santo Padre. Da lui che tanto diede e dà, anche del suo privato peculio, per aprire in Roma scuole cattoliche, dobbiamo imparare che assai spesso è più cara a Dio la elemosina che si fa per infondere nella gioventù la sana dottrina e per sottrarla all'errore, che per rendere più maestoso il culto esterno, comechè questo sia a Dio tanto accetto.
Prudentissima tattica la è fare ciò che il nemico non vorrebbe che si facesse, e non fare ciò ch'ei vorrebbe. Ora e chi non sa che le sètte anticristiane, sopra tutto, tendono a sottrarre alla educazione ed alla cattolica istruzione la gioventù? Appunto perchè la Compagnia di Gesù nel secolo passato avea aperta in numerosissime scuole di Europa la fonte della pietà sincera e della soda scienza ad innumerabili giovanotti, le sètte le suscitarono contro quella procella ch'è ben nota alla storia; e se in tempi a noi più vicini, ed al presente, fremono le stesse sètte contro la medesima Compagnia, il motivo precipuo non è niente affatto l'apostolico ministero della predicazione, delle missioni entro e fuori di Europa, ma sì l'essere ordinata per sua vocazione alla educazione ed alla istruzione della gioventù. Lo si vide pochi anni or sono quando il governo liberale della Spagna volle si chiudessero tutti i Collegi della Compagnia; ma pur fece eccezione ad uno solo, ove preparassersi i giovani alle lontane missioni dei possedimenti spagnuoli, cui voleva che i religiosi della stessa Compagnia seguitassero a coltivare. Ed ora l'articolo settimo della legge Ferry, in Francia, ne è una solenne e nuova conferma. Conoscendosi aduuque che non vi ha cosa alle sètte più detestata che le scuole cattoliche, sopra ogni altra cosa dov'essere a cuore dei sinceri cattolici, aprire quante più si possono scuole; ed è certo che non potranno far cosa più cara al Papa di quello che sia aggiugnere ai voti fatti e da farsi per ottenere libertà piena d'insegnamento, un operare attuoso forte ed efficace, per quanto si può nelle circostanze presenti, per usufruttuare quella libertà che pur c'è. Ciò detto rispetto all'acquistare ampio soggetto per imprimervi con la educazione ed istruzione la forma della cristiana filosofia intesa dal Santo Padre, veniamo a spendere due parole sull'indole del soggetto stesso.
Alcuni professori all'attuazione dell'insegnamento secondo la dottrina dell'Aquinate pretessero difficoltà tolte eziandio dall'indole o dalle tendenze acquisite (a cagione delle presenti circostanze) dei giovani discepoli. Perchè da gran tempo s'ebbe a costume, quasi da per tutto, di non mai nominare l'Aquinate tra filosofi (gli si concedeva la presidenza onoraria tra i soli teologi); perchè o non si volevano ricordate, o solo rammentate con disprezzo, le dottrine fondamentali della filosofia scolastica; perchè si era diffuso largamente il vezzo di compatire a' vecchi scolastici, a quei buoni credenzoni, a' que' barbogi che iurabant in verba magistri; [= giuravano sulle parole del maestro (cfr. Orazio, Epist., I, 1, 14), ritenendolo infallibile. N.d.R.] alcuni si danno a credere che gli scolari avrebbero in dispetto un professore che volesse loro insegnare la scolastica filosofia. La difficoltà è nulla o, tutt'al più, un pretesto. Come il marmo che si acconciava ad essere la stupenda effigie di Mosè sotto i ben aggiustati colpi della mano di Michelangelo, egualmente si sarebbe prestato ad essere uno sproporzionato satiro sotto lo scalpello d'inesperto scultore; così la gioventù si acconcia a ricevere la forma di eletta, di mediocre, di cattiva e di pessima filosofia. Noi veggiamo amabili, ingenui, innocenti, pii, cari giovinetti, in breve tempo, frequentando certe scuole, cangiarsi e divenire disonesti, viziosi, spudorati, superbi, epicurei, atei, settarii, piante velenose cresciute a danno della società, cui preparano le cause di dolori, di lagrime, di vituperii, di eccidii. Sortirono pessima educazione ed istruzione: ebbero cattivi maestri. Per converso veggiamo uscire da altre scuole giovani fermi nei retti principii della religione e della morale, acuti nel filosofare, quanto addottrinati in iscienza, altrettanto ricchi di quella modestia onde scaturisce l'amabilità e la socievolezza, speranze liete della Chiesa e della patria. Ma i secondi avrebbono probabilmente fatta la infelice riuscita dei primi, sotto a' maestri di costoro e con la loro educazione ed istruzione; e in contraria ipotesi i primi sarebbono ritornati altrettanto cari che i secondi alle braccia dei genitori, alla convivenza dei probi cittadini, alle speranze della patria e della Chiesa.
Tuttavia vuolsi ricordare che l'effetto sempre richiede una causa a sè proporzionata: perciò il cattivo maestro che non può inoculare il veleno dell'errore con vera dimostrazione e mostrando allo intelletto la verità, lo inocula col sofisma, e, solleticando i cuori giovinetti, col proporre alla indisciplinata loro imaginazione beni solo apparenti e in realtà menzogneri. Così viene sciolta la molla delle adolescenti passioni. Dall'altro lato, sotto a' professori intelligenter lectis [= scelti con saggio discernimento N.d.R.], i giovani fanno vero profitto quando quelli, conoscitori della vera filosofia, sanno metterla nella bella sua luce; quando disciolgono chiaramente tutti i sofismi, che, quali difficoltà, le si oppongono, presi dalle false metafisiche dei panteisti, ontologi, materialisti, idealisti, sensisti, o dalla fisica di quei moderni epicurei, che contenti di soli atomi e di solo moto fanno senza anime, senza creazione, senza Dio; quando finalmente, imitando i vetusti scolastici, col vaglio di sottilissima analisi cribrano tutte le sentenze, e colla prova del sillogismo dimostrano tutte le filosofiche verità.
Una certa sperienza non solo c'insegna che i giovani egregiamente, come docile soggetto, si lasciano informare alla vera filosofia, ma ancora che, se venga loro fatto d'incontrare bravi professori, si danno allo studio di quella con indicibile affetto, ardore e costanza, dando in ciò a divedere che per loro la vera filosofia è cara luce alla mente e alla volontà soave diletto. Laddove nelle scuole, ove s'insegna falsa e prava filosofia, i giovani hanno leggermente in fastidio la speculazione filosofica e, o si danno a coltivare le discipline esperimentali, le matematiche, la letteratura od altri studii positivi; oppure si gittano all'ozio, e a que' vizii ai quali è soprammodo inclinata la gioventù, e nei quali sordescunt [= s'insozzano N.d.R.] impantanati i giovani oziosi.
Entrati a discorrere dei professori, prima cosa, dobbiamo indicare in che stia la essenza del magistero, per discendere poscia ad utilissime illazioni. L'Aquinate, da quel filosofo sommo ch'egli è, toccò quella essenza nelle Somme Teologica [2] e Filosofica [3] e nella Questione de Magistro in maniera bella, sublime e vera. Riduciamo prima a breve sintesi il suo discorso. Uno solo è il principale e vero Maestro; questi è Dio: gli uomini hanno un magisterio partecipato e secondario. L'anima umana ha nella sua essenza un lume intellettuale creato da Dio, che dicesi intelletto agente. Questo lume dai fantasmi, formati nella immaginazione del pargolo, astrae le specie intelligibili più universali; quindi l'intelletto sotto la scorta di questo a sè intimo lume, informato da quelle specie intelligibili naturalmente genera i verbi mentali nei quali sono i primi principii. Adunque questi principii si hanno per magistero divino perchè: Deus est causa naturae et in necessariis causa causae est causa causati. [«Dio è causa della natura, e nelle cose necessarie (cioè in ciò che non è contingente) la causa della causa è la causa di ciò che è stato causato.» N.d.R.] La scienza non insegna que' principii, ma da essi deduce illazioni, o gli applica a soggetti via meno universali. L'intelletto umano talvolta, sotto la scorta del predetto lume, di per sè deduce quelle illazioni, di per sè fa l'applicazione suddetta, ed in tal caso l'uomo acquista da sè stesso la scienza. Ma più agevole è l'acquisto della medesima quando altri, che di già conobbe il modo onde quelle illazioni vengono da' primi principii, e il come si debbano o si possano fare le anzidette applicazioni, col mezzo della propria parola, e dei conseguenti fantasmi che per essa vengono eccitati in chi l'ascolta, indica a questo l'una cosa e l'altra. Perciò questi senza ricerche, senza studio, col solo attendere e col ripetere nel suo interno il processo mentale del maestro, ottiene la scienza. Da ciò si vede che l'intelletto nell'acquisto della scienza, non è quale potenza puramente passiva, la quale da sè sola non può attuarsi, come è il marmo che di per sè solo non può acquistare la figura del Mosè; ma è in potenza passiva insieme ed attiva, perchè e da sè può acquistare la forma della scienza, e pure può acquistarla coll'altrui aiuto; come è l'uomo non soltanto potenza passiva rispetto alla sanità, ma è potenza attiva insieme e passiva, mercecchè talvolta l'acquista per virtù di natura, talvolta col mezzo dell'arte medica, che non fa tutto nè fa sola ma coopera colla stessa natura. «Similiter, dice l'Aquinate, dicendum est de scientiae acquisitione; quod praeexistunt (cioè prima della scienza esistono, e non già che non derivino dall'astrazione dai fantasmi; ciò è opposto a cento chiare testimonianze dell'Angelico, ed è smentito da quello che segue immediatamente) in nobis quaedam scientiarum semina, scilicet primae conceptiones intellectus, quae statim lumine intellectus agentis cognoscuntur per species a sensibilibus abstractas sive sint complexa ut dignitates (questi sono i primi e più universali principii), sive incomplexa (che sono i primi e universalissimi concetti, onde derivano que' principii) sicut ratio entis et unius et huiusmodi, quae statim intellectus apprehendit. Quando ergo ex istis universalibus cognitionibus mens educitur ut actu cognoscat particularia, (cioè deduca illazioni e faccia applicazioni), quae prius in potentia, et quasi in universali, cognoscebantur, tunc aliquis dicitur scientiam acquirere.» [«Similmente (dice l'Aquinate) bisogna dire a proposito dell'acquisizione della scienza, che preesistono (cioè prima della scienza esistono, e non già che non derivino dall'astrazione dai fantasmi; ciò è opposto a cento chiare testimonianze dell'Angelico, ed è smentito da quello che segue immediatamente) in noi alcuni semi delle scienze, cioè i primi concetti dell'intelletto, i quali subito, alla luce dell'intelletto agente, sono conosciuti per mezzo delle specie astratte dalle realtà sensibili, sia che siano complessi, come gli assiomi (questi sono i primi e più universali principii), sia che siano incomplessi (che sono i primi e universalissimi concetti, onde derivano que' principii), come la nozione di ente e di uno e altre dello stesso genere che l'intelletto apprende immediatamente. Quando dunque da queste conoscenze universali la mente è condotta a conoscere in atto i particolari (cioè deduca illazioni e faccia applicazioni) che prima erano conosciuti in potenza e quasi in universale, allora si dice che si acquista la scienza.» N.d.R. Dimostrato poscia come l'intelletto non è pura potenza passiva rispetto all'acquisto della scienza, ma attiva insieme e passiva, e svolta la similitudine del malato che ora ottiene la sanità colla sola virtù naturale, ora coll'aiuto delle medicine «quibus velut instrumentis natura utitur ad sanationem» [«di cui la natura fa uso come strumenti per la guarigione» N.d.R.], così continua: «Ita etiam est duplex modus acquirendi scientiam; unus quando naturalis ratio per se ipsam devenit in cognitionem ignotorum, et hic modus dicitur inventio: alius quando rationi naturali aliquis exterius adminiculatur, et hic modus dicitur disciplina. In his autem quae fiunt natura et arte eodem modo operatur ars, et per eadem media, quibus et natura. Sicut enim natura in eo qui et frigida causa laborat, calefaciendo induceret sanitatem, ita et medicus; unde et ars dicitur imitari naturam. Similiter etiam contingit in scientiae acquisitione, quod eodem modo, docens alium ad scientiam ignotorum deducit sicut aliquis inveniendo deducit seipsum in cognitionem ignoti.» [«Così pure è duplice il modo di acquistare la scienza: uno quando la ragione naturale da se stessa giunge alla conoscenza di ciò che ignorava, e questo modo si chiama scoperta (in lat. inventio); l'altro quando qualcuno dall'esterno porta aiuto alla ragione naturale, e questo modo si chiama insegnamento (in lat. disciplina). Ma in quelle cose che sono prodotte dalla natura e dall'arte, l'arte opera allo stesso modo e con gli stessi mezzi della natura: come infatti la natura in chi soffre a causa del freddo indurrebbe la salute riscaldando, così anche il medico; per cui si dice anche che l'arte imita la natura. Similmente accade pure nell'acquisizione della scienza, che cioè il docente conduce un altro alla conoscenza delle cose che ignorava allo stesso modo in cui qualcuno, mediante la scoperta (inveniendo, cfr. sopra inventio), conduce se stesso alla conoscenza di ciò che non sa. N.d.R.] Adunque siccome il medico deve, coll'aiuto della medicina, operare come opererebbe la natura per ottenere la sanità; così deve il maestro, per mezzo della sua parola, far sì che il discente faccia nel suo intelletto quelle operazioni che naturalmente si farebbono per acquistare la scienza.
Seguiamo: «Processus autem rationis pervenientis ad cognitionem ignoti in inveniendo est, ut principia communia per se nota (e sono dignitates et principia quae praeexistunt innanzi alla scienza) applicet ad determinatas materias, et inde procedat in aliquas particulares conclusiones, et ex his in alias; unde et secundum hoc unus alium docere dicitur, quod istum discursum rationis, quem in se facit ratione naturali, alteri exponit per signa; et sic ratio naturalis discipuli, per huiusmodi sibi proposita sicut per quaedam instrumenta, pervenit in cognitionem ignotorum. Sicut ergo medicus dicitur causare sanitatem in infirmo natura operante, ita etiam homo dicitur causare scientiam in alio operatione rationis naturalis illius et hoc est docere: unde unus homo alium docere dicitur, et eius esse magister. Et secundum hoc dicit philosophus, I posteriorum, quod demonstratio est syllogismus faciens scire.» [«Il processo della ragione che giunge alla conoscenza di ciò che le è ignoto colla scoperta (in inveniendo, cfr. sopra inventio) sta nell'applicare i principî comuni di per sè noti (e sono assiomi (dignitates) e principi preesistenti innanzi alla scienza) a determinate materie, e di là procedere a qualche conclusione particolare, e di qui ad altre: onde si dice pure che uno insegna a un altro perchè espone a un altro per mezzo di segni questo procedimento della ragione che la ragione naturale compie in se stessa; e così la ragione naturale del discepolo per mezzo di ciò che gli viene proposto in tal modo perviene, come per mezzo di determinati strumenti, alla conoscenza di ciò che non sapeva. Come dunque si dice che il medico causa la salute nel malato con l'attività della natura, così pure si dice che un uomo causa la scienza in un altro con l'attività della ragione naturale di quest'ultimo, e questo è insegnare: per cui si dice che un uomo insegna ad un altro ed è suo maestro. E in base a ciò il Filosofo (Aristotele, Analitici secondi l. I) afferma che la dimostrazione è un sillogismo che fa sapere.» N.d.R.] Da ciò segue che se il maestro vuole che il discente ammetta ciò che non vede contenersi o derivare dai principii, non otterrà nel medesimo discente scienza, ma sola fede od opinione, perchè questi deferendo all'autorità del suo maestro non vedrà intellettualmente ma crederà ciò che gli dice. «Si aliquis alicui proponat ea quae in principiis per se notis non includuntur, vel includi non manifestantur: non faciet in eo scientiam, sed forte opinionem, vel fidem.» [«Se qualcuno proponga a qualcun'altro cose che non siano incluse nei principii per sè evidenti, o che non è manifesto che siano incluse, non produrrebbe in lui la scienza, ma forse l'opinione, o la fede.» N.d.R.]
Quindi conclude l'Angelico dicendo che il lume della mente nostra non è Dio-idea (come ora vogliono i Rosminiani), o la stessa increata verità, ma ne è solo similitudine; e che ciò basta per dire che Dio stesso precipuamente è maestro dell'uomo. «Huiusmodi autem rationis lumen, quo principia huiusmodi sunt nobis nota, est nobis a Deo inditum (perchè, secondo che spesso è detto dall'Angelico, appartiene alla essenza dell'anima, ed è sua naturale ed intrinseca virtù e non rifulge innanzi a lei ab extrinseco: perciò Bonaventura dicea con Dionisio [4], «substantiae intellettuales, eo ipso quod intellectuales substantiae, lumina sunt») quasi quaedam similitudo increatae veritatis in nobis resultantis. Unde cum omnis doctrina humana efficaciam habere non possit nisi ex virtute illius luminis; constat quod solus Deus est qui interius et principaliter docet, sicut natura interius et principaliter sanat; nihilominus tamen et sanare et docere proprie dicitur modo praedicto. [5]» [«Ma un tal lume della ragione, per mezzo del quale tali principî sono a noi evidenti, è posto in noi da Dio (perchè, secondo che spesso è detto dall'Angelico, appartiene alla essenza dell'anima, ed è sua naturale ed intrinseca virtù e non rifulge innanzi a lei ab extrinseco: perciò Bonaventura dicea con Dionisio [4], «le sostanze intellettuali, proprio in quanto intellettuali sostanze, sono lumi») come una qualche similitudine della verità increata risultante in noi. Laonde, poichè in ogni insegnamento umano non può avere efficacia se non in virtù di quel lume; è palese che soltanto Dio è colui che internamente e principalmente insegna, come la  natura internamente e principalmente guarisce; nondimeno si afferma in modo proprio che anche l'uomo guarisce ed insegna nel predetto modo. N.d.R.] Ecco la perfettissima pedagogia della scienza: ecco la nobilissima dottrina del magistero filosofico scientifico di quel Tommaso che dagli imbecilli vien detto iurare in verba magistri; quasi che fosse suo costume in cose filosofiche lasciarsi condurre alla sola autorità altrui, e sostituire, nell'insegnamento, alla scienza la fede: ecco la giustificazione di noi che vogliamo incarnare nelle scuole il metodo dell'Aquinate: ecco la condanna di quasi tutte le scuole ammodernate nelle quali (si eccettuino le matematiche e le pure esperimentali) si ciancia molto, s'insegna poco: e in cui gli scolari in luogo della verità spesso imparano l'errore, e in luogo della scienza hanno opinione e fede, perchè si lasciano trarre all'autorità de' professori o dei, così detti, scienziati del secolo. Ma non deviamo dal sentiero nostro, e la stupenda dottrina dell'Angelico seguitiamo ad adoperare al nostro proposito.
Adunque il professore di filosofia deve usare nell'insegnamento quel processo, che è dall'Aquinate proposto. Voglionsi da prima richiamare alla mente del discepolo i primi concetti intellettuali e i primi principii, Dicevamo richiamare e non insegnare, perchè il professore deve ingenerare la scienza e non ciò che avanti alla scienza praeexistit [= preesiste N.d.R.] e che incomincia al primo sbocciare della ragione, che avviene quando il bambolo è recato ancor sulle braccia materno. Così diciamo perchè il sorriso del pargoletto e l'uso iniziale di fisica libertà suppongono e primi concetti e primi principii razionali; sebbene non suppongano i principii morali che più tardi si acquistano. Se non che il professore intorno a quei primi concetti e a que' principii universali può e deve adoperarsi, coordinandoli, mostrando la primazia degli uni e le subordinazioni degli altri; dichiarandone la portata e la loro inconcussa fermezza. Quindi deve dimostrare al discepolo come dai principii derivano le illazioni ognor meno universali e ad oggetti via meno universali facciansi le applicazioni. Quest'è adunque il metodo per eccellenza scolastico dell'Aquinate. Prima cosa viene la Logica, perchè anzitutto conviene conoscere il modo di sapere, e poi acquistare la scienza. Quindi nella Filosofia prima si richiamano alla mente del giovane i primi concetti e i primi principii, si coordinano, si dichiara il loro valore. Poscia si traggono le illazioni e si fanno le applicazioni discendendo mano mano a ciò ch'è meno universale. Per far ciò convenientemente si divide in due parti la filosofia (secondo lo insegnamento dell'Angelico) la prima delle quali che è a noi (perchè dai sensi pigliamo le mosse) più ovvia e facile, astrae dalla materia individuata la quiddità specifica ed è la Fisica Razionale. La seconda, più a noi remota e difficile, astrae anco dalla materia considerata intellettualmente nell'essere suo specifico, e contempla le sole forme separate, ossia gli enti indipendenti dalla materia ed è la Metafisica. Lo scolastico professore prima quella, poi questa insegna. In quella e in questa va digradando sempre al meno universale. Perciò nella Fisica Razionale prima tratta della sostanza corporea in generale e delle sue proprietà universali; poi dell'inorganica; quindi della vivente. poscia della senziente; finalmente dell'uomo, il quale è ultima specie rispetto alle precedenti sostanze, che si hanno in conto di generi meno e più rimoti. Nella Metafisica la prima trattazione può farsi delle sostanze immateriali create; la seconda di Dio. Altri può usare i nomi di Ontologia, di Biologia, di Zoologia di Antropologia, di Teologia naturale ecc. esprimendo le dottrine filosofiche testè indicate; ciò poco monta, qualora il metodo sia quello che indichiamo secondo l'indole del magistero dataci dall'Aquinate. Che se si può con danno non gravissimo alterare un pocolino questo metodo; il travolgerlo affatto e mettere, per esempio, la trattazione scientifica dell'uomo prima della logica, la filosofia prima dopo le altre parti, ecc. non si può fare senza dispendio grande di tempo, senza iattura d'ordine e conseguentemente senza turbare le menti giovanette, e rendere loro difficilissimo, faticoso, noioso l'acquisto della scienza.
Ma san Tommaso, con Aristotele e con tutti quelli che non hanno dato a rimpedulare il proprio cervello [= mandato il proprio cervello a rammendare come fosse un paio di calze N.d.R.], dice che demonstratio est syllogismus faciens scire [la dimostrazione è un sillogismo che fa conoscere qualcosa N.d.R.]. Adunque, essendo ufficio del professore dimostrare al discepolo come derivino le illazioni dai noti principii e come le medesime si applichino, ha bisogno assoluto di adoperare il sillogismo, non potendovi essere dimostrazione, senza quel sillogismo che è la sua definizione e che significa la sua stessa essenza. Dimostrare scientificamente senza sillogismo è come misurare senza misura. Ma sebbene il sillogismo sia necessario, tuttavolta non sempre deve il professore parlare in istretto e nudo sillogismo; perchè è mestieri con varii svolgimenti, similitudini, applicazioni la cosa difficile rendere facile e palpabile. In questo s'imiti l'Angelico (nè l'imitazione dev'essere servile) il quale e nella Somma Filosofica e nella Teologica ci lasciò un eccellente modello di scolastiche lezioni,
È manifesto che ciò che al vero si oppone è falso, e che il falso non può derivare dai primi principii che con lume divino apprendiamo. Quindi del falso non ci può essere dimostrazione, ossia syllogismus faciens scire, il quale esprima il derivare che fa il falso stesso da quei principii. Tuttavia e il vero assai sovente si oppugna, e il falso si insegna e si accetta. Dunque facendo questo non si adopererà altro che il sofisma, che ha la maschera non la realtà del sillogismo. Per ciò, quando si tratta di sciorre le argomentazioni che si fanno contro la verità, torna bene che sieno ridotte in istretta forma logica, affinchè ne apparisca netto il vizio sofistico e convenientemente disciolgansi.
Che se allo insegnamento della filosofia vengano concesse più ore al giorno, si assegni alquanto di tempo in ogni lezione per interrogare i giovani sopra la lezione passata, e per togliere dubbiezze e difficoltà intorno alla lezione presente: e si determini un'ora almeno alla settimana, per esercizio di argomentazione. In questo esercizio siavi un Difendente che dimostri sodamente la tesi; e due almeno Argomentanti, i quali in istretta forma dialettica la oppugnino. Il quale esercizio non solo è vantaggiosissimo a rendere vivace e gradito l'insegnamento della filosofia, ma specialmente torna assai utile a svegliare lo ingegno e a preparare i giovani a sciogliere le difficoltà che fuori della scuola si fanno dagli scettici, dai materialisti e dagli epicurei del nostro tempo. E perchè i giovani possano rendersi valorosi nel detto esercizio, debbono conoscere la terminologia scolastica e avere alle mani le distinzioni scolastiche e gli scolastici assiomi, che sempre occorrono, sia nella parte dimostrativa sia nella parte polemica delle disputazioni. Un libretto, che sarà a' giovani inlulensamente più utile che i lessici peripatetici dei nostri giorni e che in sè tutti gli contiene, è il Thesaurus philosophorum seu Distinctiones et Axiomata philosophica del Reeb (ristampato non è guari a Bressanone nel Tirolo dal Weger e a Parigi dal Lethielleux), perchè il Reeb egregiamente e pienamente conosceva la filosofia dell'Angelico ed aveva una vastissima erudizione dei dottori scolastici, come è chiarito dalle numerosissime citazioni che fa di loro. Qua e là brevi note o scolii sono opportunamente inseriti per chiarire i punti di maggiore momento. All'esercizio della disputazione vuolsi aggiungere un'altra cosuccia, ed è che il professore a quando a quando imponga a' discepoli che diano in iscritto dissertazioncelle nelle quali vi sia la parte dimostrativa e la polemica delle tesi, in istretta forma ovvero diffusamente e con un po' di eloquenza dettate, specialmente quando occorrano verità di alta importanza, od errori moderni, nella confutazione dei quali debbono i giovani rendersi peritissimi.
Il professore dev'essere memore del proverbio che dice: «chi troppo abbraccia nulla stringe», e perciò bisogna ch'egli si contenti di quello che può ottenere, considerata la età, la condizione dei discepoli e il tempo che alla filosofia viene assegnato. A queste cose deve, fin dal principio dell'anno, porre mente, ed osservare se gli convenga spiegare un corso lungo o un corso breve, e quanto tempo possa consecrare alla trattazione delle singole questioni. Chi ha un'accolta di giovinetti discepoli non ancora trilustri non può certamente sperare quel frutto del suo insegnamento filosofico, che ha in diritto di attendere un professore che ha una eletta corona di giovani più adulti, che più prezzano l'importanza della filosofia, e che più sono mossi dalla sua dignità, dalla sua bellezza. A questi tempi in cui eziandio l'insegnamento ginnasiale e liceale dei Seminarii deve, più o meno, acconciarsi a quello de' ginnasii e licei del Governo (e il fare così è dura cosa ma richiesta dal bene della Chiesa e della Società), i cherici che dei laici dovrebbono essere nella filosofia più addottrinati, non possono dare alla medesima che poco tempo, distratti da altri molti e disparatissimi studii. Ci vuole pazienza! Ma insiememente si ponga tutto lo studio per cogliere da' cherici stessi tutto quel più che, considerate le circostanze, possono dare. Che se il professore vede che varie cose egli per necessità deve omettere: osservi quali sieno quelle che dopo essersi trattate in filosofia, pur si tratteranno in Teologia, e sopra queste faccia una elezione discretiva e prudente, altre toccandole di passata, altre lasciandole affatto. Non mai per dare a' giovani lo specioso, lo splendido, il dilettevole ometta il necessario e l'utile. Non ometta di trattare, con forza di ragionamento e pari chiarezza di forma, que' principii Razionali della fisica che spettano alla filosofia; perchè oggimai a nome di quella scienza non solo si dispregia la sapienza dell'Aquinate, ma si muove guerra alla Chiesa e si diffonde il materialismo, l'epicureismo e persino l'ateismo.
Non mai si diparta il professore dalla norma del magistero dataci testè dall'Aquinate: e però sempre sillogizzando, dimostri che le conclusioni, ch'ei vuole fare abbracciare, discendono dai principii evidenti e inconcussi, nè mai adduca come argomento filosofico dimostrativo l'autorità di chicchessia, nemmeno quella del santo dottore. Egli deve già essere razionalmente convinto che la sentenza dell'Angelico è vera: può manifestare, anzi conviene che manifesti a' giovani che quella ch'egli insegna è sentenza dell'Angelico, ma ciò non basta: vuol essere adoperata la vera dimostrazione, ossia syllogismus faciens scire; perchè l'Angelico già ci disse che la sola autorità può generare opinione o fede, ma scienza no. Così fecero i filosofi scolastici che seguirono le grandi orme del principe de' cristiani filosofi, e mentiscono coloro che deridono gli scolastici quali credenzoni che, nel campo filosofico, alla scienza sostituirono il dogma. Contro a' quali detrattori di ciò che ignorano noi non ci peritiamo di affermare che vi è più forma dimostrativa e scientifica nella sola Metafisica dell'esimio dottore Suarez, che in tutte insieme le filosofie, che uscirono dalla penna de' pseudofilosofi avversi alla dottrina dell'Aquinate dal 1700 fino a noi. E di questo manco di logica negli avversarii degli scolastici deve il professore fare capaci i giovani, affinchè valgano all'uopo di far tacere coloro che, non sapendo lottare con la ragione, s'ingegnano di lottare colla calunnia confortata dall'autorità dei saccentini o degli ignoranti.
Fin qui abbiamo delineati i tratti generali di pedagogia filosofica, lasciato il particolareggiare ai filosofi nei loro corsi. Abbiamo con questi tratti indicato il modo più acconcio ad imprimere nel docile soggetto delle menti giovanette la forma sublime della cristiana filosofia. Ma diteci, lettore gentile, molti artisti, lavorando nello stesso marmo, avrebbono potuto darci quello stupendo lavoro che dicevamo, ossia il Mosè? Sì; a patto però che una idea comune signoreggiasse gli scalpelli di tutti; che se la mano di ognuno fosse stata retta da diverse idee, quel lavoro bellissimo sarebbe stato impossibile. Trasferiamo questo al caso nostro. Se il professore di filosofia dovesse e potesse solo coltivare la mente dei discepoli che vanno alla sua scuola, nulla ci resterebbe a dire; ma siccome altri professori stanno intorno alla mente medesima, quando la costoro cultura si oppone, e la opposizione sia gagliarda ed efficace, il frutto sarà scarso ed incerto. In vero studio dicevamo opposizione e non semplice disparità; perchè l'insegnare che fa un professore cose disparate, o fuori di rapporto con quelle che altri insegna, nulla toglie, eccetto il tempo: ma assai nuoce che uno insegni quello esser vero che da altri, nello stesso corso, agli stessi giovani viene insegnato essere falso. Si può incontrare tale opposizione assai facilmente fra il professore scolastico di filosofia e il professore di fisica, allorchè questi, lasciata la narrazione, la coordinazione dei fatti e delle leggi onde avvengono, vuole sorgere alla essenza delle cose ed alle cause efficienti, senza avere un buon fondo di sana filosofia e senza essere forte in logica. Quando un professore di fisica è tale, ha il vezzo (oggi non raro) di costituirsi rappresentante della scienza moderna; darsi come il portavoce di tutti gli scienziati; chiedere fede alla sua autorità dove dovrebbe dimostrando produrre vera scienza; deridere i professori di filosofia che pensano diversamente da lui, e, senza recare le dimostrazioni di questi, confutare solo col dispregio le loro sentenze. A lezioni siffatte l'animo del giovane tentennerà e sarà sviato. Esemplifichiamo. Un applaudito professore di fisica insegni queste sentenze [6]. «Materia e forza anzichè due distinti principii, sono due aspetti sotto i quali la mente nostra può considerare qualsiasi corpo. Il moto non può essere prodotto da ciò che non è moto [7]. Per questa scienza (la fisica) il pensare che un moto sussistente (sussistente il moto!) possa annientarsi, è non meno assurdo che il supporre possa un movimento essere creato dal nulla, cioè da ciò che non sia moto. La creazione e la distruzione di un moto è non meno inconcepibile della creazione o della distruzione della materia, almeno dal lato scientifico [8]. Per noi non è meno assurda una così fatta genesi del moto (che possa cioè prodursi da ciò che non è moto), di quel che sia la creazione della materia dal nulla. La fisica non può appagarsi di parole, e meno poi può appagarsi di miracoli. Ciò potrà tornar comodo ai teologi ed agli ontologisti, ma non è certo utile per la vera scienza [9]. La investigazione della essenza delle cose, e delle cause prime dei fenomeni riesce oziosa od infeconda [10].» Supponiamo per poco che queste affermazioni dal professore di fisica vengano confortate con le solite tirate contro la ignoranza dei vetusti scolastici e ben condite di rimproveri contro a moderni che vogliono risuscitare le dottrine di quelli; l'inesperto giovinetto che farà? Sarà per certo preoccupato da pregiudizii, e troppo tardi, con diffidenza e con disattenzione sarà udita la lezione del professore di filosofia, quando non contentandosi di sole parole, come il Cantoni, dimostrerà con invincibili argomenti che il primo motore è immobile ed è Dio; che non si può non ammettere la creazione: che lo ammettere Dio creante e primo motore e conservatore della natura e delle sue forze non è entrare nei miracoli, ma è uno stabilire il necessario fondamento a tutte le leggi fisiche, nella particolare derogazione delle quali (derogazione possibile e talvolta di fatto) consiste il miracolo: che cagione di moto sono ancora le anime umane, le anime dei bruti, i principii di vera forza insiti in tutte le sostanze corporee: che il moto non è indistruttibile, nè la sua quantità (rispetto a tutto l'universo) invariabile: finalmente che ciò ch'è vero in teologia od in metafisica, non può in fisica essere falso. Per certo le dimostrazioni del professore non avranno la debita efficacia sulla mente del discepolo, già preoccupata ed indisposta. Gli è qui come gittare dell'acqua purissima sopra una carta spalmata in prima coll'olio: l'acqua non entra! Eppure il libro del Cantoni non è rimosso dalle scuole cattoliche sempre e da per tutto. A petto del Büchner e del Moleschott professore nell'Università Romana, egli è un baciapile e un collo torto. E poi, comechè altri autori di fisica non cadano in quelli errori, che possiam dire ereticali, nei quali cade il Cantoni, alcune ipotesi pur professano che sono diametralmente contrarie ai fondamentali principii dell'Aquinate, e, perciò stesso, il conflitto che dicevamo tra i professori, rispetto allo insegnamento, non solo è possibile, ma probabile.
Adunque è necessario che si faccia tra i professori di scienze diverse sincera concordia, affinchè l'uno non distrugga quello ch'è edificato dall'altro. Questo accadrà quando i professori di fisica, messi da lato tutti i pregiudizii, specialmente quelli che piglian forza dall'autorità di certe moderne, così dette, celebrità, si proporranno di accettare e di propugnare ciò ch'è dimostrato e certo, di rigettare quello che non è dimostrato nè certo, se avvenga che si ritrovi in opposizione non solo coi principii della fede ma eziandio con le sentenze dimostrate dalla vera filosofia. D'altra parte poi i professori di filosofia rispettino ed accettino tutti i fatti che dà la fisica, tutte le conclusioni che logicamente da loro discendono, nè, tratti da irragionevole amore all'antichità, si diano a sostenere sconsigliatamente sesquipedali e certi errori che, nel campo delle fisiche esperimentali, furono presi dai vetusti fisici, i quali non aveano nè potevano avere alla mano quella dovizia di mezzi per trarre dalla natura l'accurata, e saggia esperienza, che noi abbiamo. Cuique suum; ed a ciò pur intese Papa Leone, come già sopra abbiamo indicato. Se ciò avverrà, si vedrà che anche le scienze sperimentali, senza punto dietreggiare o sostare nel loro progresso, si appoggeranno (come ci disse lo stesso Santo Padre) a solide basi; ed insieme sarà a tutti manifesta la menzogna di coloro che audacemente affermano non potersi la scienza conciliare con la fede e per ciò doversi questa proscrivere e distruggere la Chiesa. Il perchè non possiamo non applaudire agli scrittori della Scienza Italiana che con acconce dissertazioni studiaronsi di far quello che andiamo dicendo, e nominatamente col ch. Monsignore Rubbini (che, come sappiamo, da molt'anni insegna le scienze fisiche e le matematiche), il quale nel periodico la Scienza Italiana incominciò, subito dopo la pubblicazione dell'Enciclica, un Corso di lezioni di fisica elementare in armonia coi principii fisicorazionali di S. Tommaso, ordinandole appunto allo insegnamento della gioventù. Oh teniamolo ben fermo! la verità non può essere opposta alla verità, e per[ci]ò vano è l'affermare che alla filosofia si oppone la fisica: ed empio, che la scienza si oppone alla fede, e che come cristiani dobbiamo credere quello che dobbiamo negare quali scienziati. Questa opposizione è intrinsecamente impossibile; e solo può essere affermata da uomini mancanti di senno, o da uomini rei che vogliono, nella loro superbia, ribellarsi alla verità e a Dio.
Al primo diffondersi di questa sentenza blasfema, cioè che la scienza è opposta alla fede, l'Apostolica Sede ne diede solennissima ed autorevolissima smentita. Pio IX di santa e gloriosa memoria dichiarò assai volte il reale conflitto impossibile: il Concilio Vaticano confermò la parola del Vicario di Gesù Cristo, e Leone volle operare in guisa, che la stessa sentenza, nella quale si conteneva il voto scellerato di distruggere la Chiesa, venisse ancora sbugiardata dal fatto stesso. Il che deve avvenire alloraquando dalle cattedre si dimostri (ciò che già fu detto dal Concilio Vaticano) che quelle dottrine, che si danno da falsi scienziati quali dettati della scienza opposti alla vera fede, altro non sono che ipotesi infondate e false, che sistemi assurdi e contrarii alla natura ed ai certi principii dell'umana ragione. Ma a ciò che sia chiarita a tutti questa giustificazione della fede oltraggiata da falsi scienziati moderni, e si vegga la scienza vera stretta alla fede con amoroso ed umile amplesso illuminare i popoli, e condurli per la via del vero progresso, ritrattili da quell'abisso nel quale stanno quasi precipitando, egli è mestieri che si rimetta in onore la cristiana filosofia. La quale sola ha intorno la fronte l'aureola splendida della verità e perciò i suoi principii non mai opposti a quei della fede, sono evidenti al lume della ragione.
Più volte Pio IX dalla sua Sede Apostolica eccitò i filosofi a non lasciarsi illudere dalla fallace sapienza ed a seguire que' dottori che, per dottrina, come stelle rifulsero nella Chiesa. Ciò fece direttamente ed anco indirettamente, condannando cioè errori filosofici: come vedesi nelle memorabili sue lettere nelle quali proscrive gli errori di Gunther e quelli del Baltzer; ed ancora nella condanna della famosa proposizione 13a del Sillabo, nella quale si calunnia la dottrina degli scolastici, facendola passare come retriva e contraria a' progressi della scienza ed alla condizione dei nostri tempi. «Methodus et principia, quibus antiqui Doctores Theologiam excoluerunt, temporum nostrorum necessitatibus scientiarumque progressui minime congruunt.» [«XIII. Il metodo e i principii, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità de' nostri tempi e al progresso delle scienze.» N.d.R.] Gravissimo documento è questo, ma in esso non possiamo scorgere un precetto e nemmeno una volontà spiccata del Papa che si abbracci la filosofia dell'Aquinate. Sono eziandio di alta rilevanza le parole del medesimo Santo Padre Pio IX con le quali approvò l'Accademia filosofica medica nata in Roma nel 1874, composta di Dottori e Professori di Teologia, di Filosofia, di Scienze Naturali e di Medicina. «Libentius etiam videmus, vos proposito vestro fideles, eos tantum sodales vobis adsciscere constituisse, qui teneant et propugnaturi sint doctrinas a sacris Conciliis et hac sancta Sede propositas, ac nominatim Angelici Doctoris principia de animae intellectivae unione cum corpore humano, deque substantiali forma et materia prima.» [«Vediamo pure con grande Nostra compiacenza, che voi, ben fermi nel vostro proposito, avete stabilito di aggregare a voi que' soli soci i quali tengano e sieno pronti a propugnare le dottrine proposte dai sacri Concilii e da questa santa Sede, e nominatamente i principii dell'Angelico Dottore intorno alla unione dell'anima intellettiva col corpo umano, e intorno alla forma sostanziale ed alla materia prima.» N.d.R.] Tuttavia il libentius videmus [vediamo con grande Nostra compiacenza N.d.R.] non denota una determinata volontà che si seguano non solo le dottrine proposte dai Concilii e dalla Santa, Sede, ma eziandio le altre nell'apostolica lettera indicate. Ma Iddio nella sua amorosissima provvidenza avea a Papa Leone XIII preparata la gran missione di compiere l'impresa, cui mise mano il santo suo predecessore, e di riformare la scienza proponendo una Regola filosofica piena e chiara, ed urgendone con altre ed altre gravissime lettere l'esecuzione. Di questo memorabile fatto, che farà epoca negli annali della Chiesa e delle Scienze, la necessità era tragrande, come ce ne avverti il Papa stesso nell'Enciclica Aeterni Patris e noi l'abbiam fatto, a suo luogo, rilevare. Imperocchè oggimai l'umana superbia «adversatur et extollitur supra omne quod dicitur Deus [11]», [Cfr. II Thess. II, 4: «si oppone, e si innalza sopra tutto quello, che dicesi Dio» N.d.R.] nè possiamo andare alla riforma del cuore senza passare per la riforma dell'intelletto. Tutto v'è da sperare, se anche in questa occasione le pecorelle e gli agnelli ascoltino e seguano la voce del Supremo Pastore: altrimenti saranno preda a' lupi. Deh non si dica di veruno, che vi è prontezza nell'obbedire al Papa, allorchè egli ci comanda quello che noi pure vogliamo; ma che se vuole ciò che è contrario a' nostri intendimenti ed al nostro amor proprio, allora c'è ritrosia, c'è freddezza. Impariamo da Agostino, da Girolamo, da Tommaso d'Aquino, da Bonaventura, dal Bellarmino, dal Suarez, dal Fénélon a congiungere insieme sapienza ed umiltà: ed a' piedi di Leone recandoci in ispirito ripetiamo le belle parole che a lui rivolse l'Episcopato dell'Umbria ai 5 del passato ottobre. «Voi, Beatissimo Padre, coronando le imprese del Santo Pontefice Pio IX, nell'ammirabile Enciclica Aeterni Patris avete all'uopo presentato un nome — Tommaso d'Aquino —; e questo nome dice di per sè solo la dottrina, di cui dobbiamo far tesoro, e quale insieme sia l'ordine e il metodo da seguitar nelle scuole. A noi pare che l'autorevole vostra voce abbia troncato ogni questione, abbia vinto ogni titubanza, e che sia tempo omai di ripetere le antiche parole: Ogni controversia è finita; chi non raccoglie con Voi, disperde.»

La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris»

I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII.
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa.
III. I conseguenti.
Seguita dei conseguenti.
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica

NOTE:

[2] I. Quaest. 117.
[3] C. G. Lib. II, cap. 74. [C.G. o S.C.G. = (Summa) Contra Gentiles. N.d.R.]
[4] Lib. II, Dist. 24, Parte I, 2-4.
[5] De Magistro, 1.
[6] Cantoni Elementi di fisica, Milano 1870, pag. 3.
[7] Pag. 27.
[8] Pag. 64.
[9] Lezioni di fisica. Milano 1869.
[10] Pag. 58.
[11] II. Thessal. 2, 4.

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